Nel caso di specie, risultano inadeguate le operazioni di investimento per eccesso di concentrazione. Un dossier titoli composto per la sua interezza di titoli illiquidi è già di per sé strutturalmente inadeguato. Bisogna, in ogni caso, tener conto che la giurisprudenza ha affermato ripetutamente il principio secondo cui l’adeguatezza delle operazioni e la competenza finanziaria del cliente non fanno venir meno l’obbligo di informazione completa e corretta: “In tema di intermediazione mobiliare, le valutazioni dell’adeguatezza delle operazioni al profilo di rischio del cliente e alla sua buona conoscenza del mercato finanziario non escludono la gravità dell’inadempimento degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario finanziario, sicché il fatto che l’investitore propenda per investimenti rischiosi non toglie che egli selezioni tra questi ultimi quelli, a suo giudizio, aventi maggiori probabilità di successo, grazie alle informazioni che l’intermediario è tenuto a fornirgli“[1].
Considerato il rischio intrinseco delle azioni non quotate, questi strumenti finanziari potevano riservarsi solo a clienti con profilo altamente speculativo o clienti professionali e non a clienti c.d. retail. Deve considerarsi, poi, che il ruolo dell’intermediario è quello di orientare le scelte di investimento del cliente, per cui qualora vengano disattese le regole di condotta da parte dell’intermediario nell’esecuzione del servizio di investimento, nel cliente non potrebbe formarsi una esatta ed effettiva consapevolezza in ordine al rischio concreto dell’operazione[2]. Questa impostazione ha conseguenze sulla ripartizione dell’onere probatorio in capo alle parti nei giudizi di responsabilità per violazione delle regole previste dall’art. 21 TUF. Secondo l’orientamento della Suprema Corte, ormai consolidato, l’investitore dovrebbe individuare l’inadempimento dell’intermediario allegando in modo specifico la norma che ritiene violata e fornire la prova, anche per presunzioni, del conseguente danno emergente e lucro cessante ai sensi dell’art. 1223 c.c. consistente almeno nella perdita in tutto o in parte del capitale investito[3]. La relazione eziologica tra l’inadempimento e il danno – in applicazione del principio dell’onere della prova – una volta allegato l’inadempimento e provato il danno, sussiste sempre in via presuntiva[4].
La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, stabilito, coerentemente con quanto prescritto ai sensi dell’art. 23, comma 6, TUF, che l’intermediario potrà fornire la prova positiva contraria di aver esattamente adempiuto ai doveri informativi secondo la “specifica diligenza richiesta” e, quindi, di aver informato adeguatamente il cliente circa il rischio effettivo dell’investimento in relazione alla conoscenza del medesimo in materia finanziaria e delle sue caratteristiche personali. Prova che deve essere completa, precisa e specifica circa l’esatto adempimento dei doveri informativi derivanti dall’art. 21 TUF[5]. Prova positiva che, nella specie, non è stata offerta dalla Banca convenuta.
In conclusione, per il Tribunale barese, le descritte inadempienze giustificano l’accoglimento della domanda di risoluzione di tutti gli ordini di acquisto ed esimono dal valutare gli ulteriori inadempimenti allegati dall’attrice.
____________________________________________________________________________
[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 04.04.2018, n. 8333.
[2] Cfr. Cass. n. 30104/2018.
[3] Cfr. Cass. n. 12456/2018; Cass. n. 12956/2018; Cass. n. 20167/2017.
[4] Cfr. Cass. n. 23417/2016; Cass. n. 12544/2017; Cass. n. 4727/2018.
[5] Cfr. Cass. n. 11368/2018; Cass. n. 8751/2018.