Il vertice con la Grecia, Meloni vede Mitsotakis. Ma in Europa si è isolata
Con il primo ministro ellenico piena sintonia sullo stop agli sbarchi. Però la premier deve recuperare sull’Ucraina per rientrare in gioco

Roma, 13 maggio 2025 – Nella vertiginosa girandola di incontri internazionali di questi giorni è il turno del premier greco Kyriakos Mitsotakis. La presidente del Consiglio lo incontra a Villa Doria Pamphilj, a pochi giorni dal vertice con il turco Erdogan. Oggi ci doveva essere un faccia a faccia con il primo ministro slovacco Robert Fico, ma è stato posticipato al 3 giugno. Con Mitsotakis tutto fila liscio. Parlano di affari (vengono siglati 14 tra memorandum e dichiarazioni), di ferrovie tanto più che quelle greche sono di proprietà italiana e molto si discute di cavi ottici sottomarini, attraverso i quali corre l’energia elettrica: l’accordo da 2 miliardi con Terna è già stato firmato.
Altro capitolo essenziale è quello dell’immigrazione: “Sulle nostre spalle – rimarca la premier – cade il fardello di essere tra le principali nazioni di arrivo e con il primo ministro greco abbiamo lavorato molto bene in questi anni e intendiamo continuare a farlo per consolidare un cambio di approccio che nella Ue si sta manifestando nei confronti del governo dei flussi migratori”. Ma i cronisti e probabilmente la stessa premier – non cela una smorfia d’impazienza per la durata della cerimonia che segue gli accordi – sono attenti a tutt’altro argomento. È il giorno in cui si vede una pur vaga luce in fondo al tunnel dell’Ucraina e il fatto che lei sia impegnata in un incontro quasi di routine rivela quanto l’Italia sia tagliata fuori dalla cabina di regia europea. Anche per questo il passaggio più atteso nelle sue dichiarazioni non riguarda il vertice e neppure l’immigrazione, bensì l’Ucraina. Meloni non si fa pregare, e va giù pesante. “Aspettiamo una chiara risposta dalla Russia sul cessate il fuoco”.
A Londra, dove partecipa alla conferenza del cosiddetto formato Weimar +, Antonio Tajani usa toni simili: “Tutta la responsabilità è nelle mani di Putin”. Il disagio di un governo che mirava a occupare la posizione centrale sia nella partita ucraina che in quella dei dazi e si trova fuori gioco è palese. Per questo a Palazzo Chigi iniziano a chiedersi se non sia stato un errore la partecipazione solo in collegamento sabato al vertice di Kiev. La premier aveva scelto quella modalità per rimarcare la decisione di non inviare truppe nella missione di peacekeeping cui lavorano i volenterosi. Nello stesso tempo con la partecipazione da remoto voleva confermare l’unità del continente. Quando a Roma si sono resi conti che sul tavolo era spuntata una ipotesi reale di tregua, era tardi o forse è mancata la prontezza necessaria. Di fatto l’Italia non ha partecipato alla raffica di incontri seguita alla nomina del cancelliere tedesco Merz, limitati al gruppo Weimar. È stata defilata all’incontro di Kiev allargato alla Gran Bretagna.
Ora deve provare a rientrare in gioco: gli accenti forti di Meloni e Tajani sono un passo in quella direzione. Così come lo è la scelta del ministro degli Esteri di convocare a Roma per giugno la prossima riunione del gruppo Weimar + allargato a Italia, Spagna e Regno Unito. Nonché l’enfasi che ha dato alla conferenza per la ricostruzione di luglio nella capitale. In ballo c’è la definizione dei futuri equilibri dell’Europa e il grosso affare che sarà la ricostruzione dell’Ucraina. Per riaprire i giochi la premier punta anche sull’appuntamento di domenica a Roma quando, per l’intronizzazione del Papa, arriveranno capi di Stato e di governo da tutto il mondo. Ci sarà il cancelliere Merz: in agenda c’è un vertice con lui. Ci sarà il vicepresidente americano J.D. Vance, ma lei non dispera nell’arrivo a sorpresa dello stesso presidente Trump. Dovrebbe trovarsi a Istanbul e Roma è a un passo. Se la tregua prenderà corpo, la celebrazione del nuovo papato potrebbe essere l’occasione per il ritorno nella partita internazionale di una Meloni oggi un po’ relegata in panchina.