Il modello Silicon Valley non funziona? Facciamo acceleratori diffusi, come nel Nordest
Non nuovi luoghi fisici, ma acceleratori diffusi nei territori che mettano in rete startup e aziende per portare innovazione dove si crea valore. Il progetto DIVE nel Nordest è un primo esperimento in questa direzione L'articolo Il modello Silicon Valley non funziona? Facciamo acceleratori diffusi, come nel Nordest proviene da Economyup.

STARTUP E TERRITORI
Il modello Silicon Valley non funziona? Facciamo acceleratori diffusi, come nel Nordest
Non nuovi luoghi fisici, ma acceleratori diffusi nei territori che mettano in rete startup e aziende per portare innovazione dove si crea valore. Il progetto DIVE nel Nordest è un primo esperimento in questa direzione
direttore del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova

Il tentativo di replicare il modello Silicon Valley in Italia si è rivelato fallimentare, se guardiamo a un indicatore incompleto ma di impatto immediato come il numero di “unicorni”, imprese innovative con valutazione di mercato di almeno un miliardo di dollari: quelle italiane si contano sulle dita di una mano. Sono realtà importanti ma il loro basso numero, non comparabile con quello di aziende analoghe presenti in altre economie europee paragonabili all’Italia, ci deve spingere a riflettere.
Dal modello Silicon Valley all’acceleratore diffuso
Il modello Silicon Valley si basa su investimenti massicci che portano le startup a scalare in brevissimo tempo imponendosi come leader dei loro settori. Si tratta di una soluzione che in Italia ha dimostrato di non funzionare se non in rari casi, per tanti motivi, in primis le caratteristiche economiche del nostro territorio, formato da tantissime piccole e medie imprese e da specializzazioni territoriali, i vecchi distretti produttivi.
È a partire da questa consapevolezza che con i colleghi Giulio Buciuni, docente di Business Innovation presso la business school del Trinity College Dublin, e Paolo Gubitta, professore di organizzazione aziendale dell’Università di Padova, abbiamo ideato il concetto di “acceleratore diffuso”, che è il cuore del progetto DIVE – Driving Innovation for Veneto Economy, promosso dalla Camera di Commercio di Padova.
Che cos’è un acceleratore diffuso
Un nuovo modello in cui le startup non si concentrano in un unico luogo, ma portano la loro innovazione direttamente all’interno delle imprese esistenti, creando officine e laboratori condivisi. Questa strategia mira a una doppia crescita: da un lato le imprese tradizionali potranno integrare rapidamente nuove tecnologie; dall’altro le startup potranno beneficiare dell’esperienza industriale consolidata.
L’iniziativa si presenta come una risposta concreta per preparare il territorio alle sfide dell’intelligenza artificiale, della Space Economy e delle Scienze della Vita, evitando il rischio di rimanere indietro rispetto ad altri contesti europei e globali.
La proposta di acceleratore diffuso deve molto alla riflessione di Giulio Buciuni, che nel recente libro “Innovatori outsider. Nuovi modelli imprenditoriali per il capitalismo italiano” e nei suoi studi precedenti ha analizzato gli ingredienti che possono portare i territori industriali ad avere successo nel contesto dell’economia della conoscenza, fondamentale per competere sui mercati globali sempre più tecnologici.
Il ruolo delle università, e in particolare delle discipline STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Matematica), è fondamentale, senza però dimenticare il contributo delle scienze sociali e umane, per un approccio più completo e creativo, sintetizzato nel concetto di “STIMA”, parola girata in lingua italiana che include anche l’Arte.
Non si tratta, quindi, di imitare i modelli delle metropoli globali o della Silicon Valley, ma di costruire un ecosistema più adatto a un territorio dalla spiccata struttura policentrica come il Nordest, facendo delle imprese, grandi, medie e piccole, luoghi vivi di sperimentazione, contaminazione e rigenerazione imprenditoriale.
Mettere in rete startup, aziende e centri di innovazione
Non si tratta di creare una nuova struttura che si affianchi a quelle già esistenti, ma di mettere in rete le startup, le piccole e medie imprese fortemente innovative e basate sulla tecnologia, i competence center e le strutture di Tech Transfer già presenti sul territorio.
Per fare che cosa? Per colmare un gap che spesso si riscontra nelle imprese del Nordest, spesso eccellenti nella produzione ma fragili nelle competenze manageriali, digitali e finanziarie. La strada che proponiamo di percorrere per portare nuove competenze in queste imprese, seguendo l’esempio delle “imprese plug-in” raccontate nel saggio di Buciuni, è quella di portare l’innovazione là dove si crea il valore, nei capannoni, nelle filiere, nei distretti.
Le piccole e medie imprese diventano luoghi di sperimentazione e test di nuove tecnologie, mentre le startup trovano contesti reali dove crescere e validare le proprie soluzioni. Si attiva così una forma virtuosa di open innovation che connette il potenziale creativo delle nuove generazioni con il know-how produttivo delle imprese consolidate.
Il progetto DIVE per il Nordest: capitale umano e cultura imprenditoriale
L’acceleratore diffuso non è l’unica azione prevista dal progetto DIVE. È essenziale lavorare in contemporanea anche su altre due sfide. La prima è quella del capitale umano, per contrastare l’erosione che subisce il Nordest, che subisce la concorrenza di territori più attrattivi per le competenze di alto livello, in Italia e all’estero.
L’obiettivo è proporre un sistema integrato di azioni per trattenere, formare e attrarre talenti con programmi esperienziali, job school orientate al lavoro reale, percorsi di accompagnamento e contaminazione tra università e imprese. Un assaggio di queste azioni si è avuto con la prima edizione della Talent Week, promossa dalla Camera di Commercio di Padova, che ha portato dal 7 al 12 aprile in città oltre 200 studenti da tutte le università pubbliche del Nordest coinvolgendo altre centinaia di giovani in eventi che hanno messo al centro l’imprenditorialità, la cultura e le nuove visioni del lavoro dei giovani.
La seconda sfida è quella della crescita della cultura imprenditoriale nel territorio, da cogliere attraverso la creazione di una Scuola di impresa avanzata, incentrata sulla creazione di imprese deep-tech, sulla gestione dell’innovazione, sull’internazionalizzazione e sull’uso strategico delle tecnologie emergenti.
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