Il Governo e le Riforme

A dispetto della martellante ed enfatica propaganda veicolata da vasta parte del sistema mediatico, le vele del governo Meloni non sembrano piene di vento. Le promesse di indefettibili riforme non […]

Apr 17, 2025 - 08:29
 0
Il Governo e le Riforme

A dispetto della martellante ed enfatica propaganda veicolata da vasta parte del sistema mediatico, le vele del governo Meloni non sembrano piene di vento.

Le promesse di indefettibili riforme non scaldano il cuore degli italiani ancora in attesa di risolutivi interventi su salari, sanità e quant’altro incida effettivamente sulla loro quotidianità. Anzi, i segnali al riguardo sembrano andare in direzione opposta come sa chiunque voglia ottenere  in tempi ragionevoli una prestazione dal servizio sanitario pubblico.

Alcuni autorevoli analisti, come Lucio Caracciolo, ipotizzano una vita non troppo prolungata per questo Governo per le crescenti contraddizioni create dall’altalenante avventurismo di Trump e, forse ancor più fondatamente, per l’irreversibile disequilibrio fra le ragioni di credito e debito  dei grandi attori mondiali, Cina in testa, insieme all’innegabile declino dell’egemonia statunitense.

Deve, però, notarsi che l’inconsistenza progettuale delle forze di governo (peraltro non solo di esse) probabilmente non è di per sé sufficiente a determinare una crisi governativa atteso il forte se non indispensabile attaccamento a poltrone e potere di una classe politica che non sembra possedere  altre risorse al suo attivo.

In attesa di un non ravvicinato collasso dell’Esecutivo per cause  esogene (e ancor meno per quelle endogene),  può essere utile riflettere sull’unica riforma che sembra avere buone probabilità di successo e cioè quella riguardante la separazione delle carriere dei magistrati. E ciò non tanto per la vicenda in sé e per i problemi specifici connessi a tale riforma le cui finalità sono facilmente intuibili.

Invero, la questione può e deve essere declinata da un punto di vista poco  esplorato se non in circoli specialistici.

Il tema riguarda le matrici identitarie della nostra Costituzione.

Gli stessi magistrati e la loro istanza rappresentativa  non sembrano aver colto tale aspetto in tutta la sua portata pur sostenendo con forza, del tutto correttamente e senza sbavature corporative, i rischi per i cittadini derivanti da tale riforma.

Invece, la domanda a cui rispondere è questa: la Costituzione italiana, le cui origini storico-politiche non è necessario qui ricordare, è solo un insieme di norme, sia pure di rango superiore, che possono essere modificate, abrogate, sostituite o, invece, è qualcosa di diverso, qualcosa di più?

E del tutto evidente che, chi abbia un minimo di conoscenza della nostra storia e non voglia creare interessate soluzioni di continuità con ciò che la Costituzione ci indica e ci ricorda, non può che riconoscerne la sua specifica natura identitaria. Una natura che affonda , indissolubilmente, le sue radici nella Resistenza, nella liberazione dal fascismo, nell’avvento della Repubblica e negli appassionati elevati dibattiti svoltisi all’interno dell’Assemblea Costituente. In uno, nel recupero di valori di libertà e democrazia dopo vent’anni di dittatura.

C’è, sembra evidente, nella nostra Costituzione qualcosa, seppur non formalmente esplicitato,  che non è separabile dal testo scritto, dalle singole norme.

Ciò non significa che la Costituzione, come “progetto per il futuro”, non possa essere modificata in qualche sua parte per adeguarla ai nuovi tempi.  Ma a condizione, però, di preservarne quel nocciolo duro, quel programma di emancipazione sociale ed economica, di uguaglianza sostanziale, di solidarietà, di cittadinanza consapevole e partecipata.

E non sembra dubbio che incidere su di un potere posto a garanzia di tutto ciò, separarne una parte, concretizza un indebolimento dello stesso, un vulnus a quel complessivo progetto appena ricordato.

Qui non si tratta di una questione di tutela di un assetto dovuta alla tradizionale insofferenza delle classi dirigenti italiane rispetto ai controlli di legalità, ma di capire che questa riforma si incammina , probabilmente anche in modo inconsapevole, attesa la qualità culturale dei suoi propugnatori, verso scenari più ambiziosi. Scenari che favoriscano un trapasso  dalla tradizionale separazione dei poteri alla governamentalità di foucaltiana memoria,  assorbendo in un’unica istanza, quella governativa,  ogni forma di regolazione della realtà, ogni dialettica politica.

Come ha ripetutamente affermato la nostra Corte Costituzionale, vi sono  norme, nella Costituzione, che partecipano in modo intangibile del suo programma identitario, della sua “materialità” culturale e politica per cui sarebbe incostituzionale un intervento su di esse, anche se effettuato con norma di rango costituzionale.

Chiunque avesse voglia di superare le secche di un dibattito mediatico privo di ogni serietà,  affollato da incolti esegeti dell’ultima ora, potrà utilmente leggere i verbali delle discussione appassionate ed anche differenziate svoltesi, su questo tema, in Assemblea Costituente e la relazione finale del presidente della commissione incaricata di scrivere il testo della Costituzione, on. Ruini. Leggerà come, in tale relazione,  sia declinato, a chiare lettere, che la Magistratura è una potere autonomo ed indipendente  e perché, nella Carta, si parla di ordine e non di potere, termine peraltro non usato neanche per definire Governo e Parlamento.

Forse questi tempi, così confusi ed ondivaghi, non incoraggiano approcci più riflessivi e distesi alle questioni che la realtà impone. Forse, proprio per questo, sarebbe necessario non creare  problemi che non esistono o che esistono, probabilmente, solo per chi aspira a patenti di generale ed inscalfibile immunità