Il Data Protection Officer nel GDPR: obbligo o scelta strategica?
lentepubblica.it Analisi normativa e casi pratici sul ruolo del Data Protection Officer (DPO) nella protezione dei dati personali nel GDPR tra vincoli di legge, interpretazioni critiche e opportunità organizzative. L’attuale disciplina in materia di protezione dei dati personali, delineata dal Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), attribuisce un ruolo fondamentale alla figura del Data Protection Officer (DPO), quale […] The post Il Data Protection Officer nel GDPR: obbligo o scelta strategica? appeared first on lentepubblica.it.

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Analisi normativa e casi pratici sul ruolo del Data Protection Officer (DPO) nella protezione dei dati personali nel GDPR tra vincoli di legge, interpretazioni critiche e opportunità organizzative.
L’attuale disciplina in materia di protezione dei dati personali, delineata dal Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), attribuisce un ruolo fondamentale alla figura del Data Protection Officer (DPO), quale presidio di legalità e garanzia di accountability. L’obbligo di nomina, posto a carico del titolare e del responsabile del trattamento, è chiaramente disciplinato dall’art. 37 del GDPR. Altra norma di rilievo è l’art. 28, che regola i rapporti tra il titolare e il responsabile del trattamento, imponendo al primo obblighi di verifica in merito all’idoneità del secondo a garantire un trattamento conforme alla normativa.
L’art. 4, par. 8 del GDPR definisce il responsabile del trattamento come il soggetto (persona fisica o giuridica, autorità pubblica o organismo) che tratta dati personali per conto del titolare. Il successivo art. 28 prevede che il titolare possa affidarsi esclusivamente a responsabili che offrano “garanzie sufficienti per mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate”, a garanzia della conformità al Regolamento.
Tali garanzie non si risolvono nella mera adesione formale a clausole contrattuali o nella dichiarazione di conformità, bensì richiedono un’analisi concreta delle misure poste in essere dal responsabile, tra cui rientra la presenza (o la mancata nomina) di un DPO, laddove il tipo di trattamento lo richieda o lo renda opportuno.
Quando il Data Protection Officer è obbligatorio
L’art. 37 del GDPR delinea i casi in cui la nomina del Data Protection Officer è obbligatoria, ovvero:
- quando il trattamento è effettuato da un’autorità pubblica o un organismo pubblico (eccettuate le autorità giurisdizionali);
- quando le attività principali del titolare o del responsabile consistono in trattamenti che richiedono un monitoraggio regolare e sistematico degli interessati su larga scala;
- quando le attività principali consistono in trattamenti su larga scala di categorie particolari di dati personali (art. 9) o di dati relativi a condanne penali e reati (art. 10).
La norma, tuttavia, lascia ampi margini interpretativi, specialmente in relazione ai concetti di “monitoraggio regolare e sistematico” e di “larga scala”, la cui definizione operativa è stata oggetto di numerose linee guida da parte dell’EDPB e dei Garanti nazionali.
Un’analisi concreta delle criticità applicative può emergere da due casi recenti verificatisi in ambito locale:
- a) Il servizio di trasporto scolastico
Un’impresa privata incaricata dal Comune della gestione del trasporto scolastico ha omesso la nomina di un Data Protection Officer, sostenendo che l’attività non rientra nei casi previsti dalle lett. b) e c) dell’art. 37. Tuttavia, tale trattamento coinvolge dati di minori, potenzialmente anche dati sensibili (es. disabilità), ed è svolto con continuità su larga scala.
La sistematicità del trattamento, la vulnerabilità degli interessati e la sua durata (l’intero anno scolastico) suggeriscono che, sebbene non formalmente obbligatoria, la nomina del DPO sia altamente raccomandabile.
- b) Il servizio di imbustamento e invio di avvisi comunali
Una società incaricata dell’invio massivo di comunicazioni contenenti dati personali (TARI, anagrafe, tributi) ha ritenuto di non dover nominare un DPO. Tuttavia, i dati trattati riguardano migliaia di cittadini e i trattamenti si ripetono periodicamente, configurando una forma di monitoraggio regolare e su larga scala.
In entrambi i casi, la mancata nomina appare in contrasto con la ratio dell’art. 28 GDPR, che impone al titolare (in questi casi, il Comune) di valutare l’idoneità del responsabile anche sotto il profilo delle sue misure organizzative e della sua struttura di compliance.
Quando il DPO è suggerito anche se non obbligatorio
Il Garante italiano ha più volte chiarito, nelle proprie FAQ e linee guida, che la nomina del Data Protection Officer è fortemente raccomandata anche al di fuori dei casi in cui è formalmente obbligatoria. In particolare, il DPO rappresenta una misura organizzativa di rilievo ai fini dell’accountability, la cui mancanza dovrebbe essere adeguatamente motivata e documentata.
Il DPO è suggerito in tutti i casi in cui:
- si trattano dati di soggetti vulnerabili;
- si effettuano trattamenti continuativi e complessi;
- vi sono rischi elevati per i diritti e le libertà degli interessati;
- si opera per conto di un soggetto pubblico.
L’art. 39 del GDPR elenca i compiti minimi del DPO, che comprendono:
- fornire consulenza al titolare o al responsabile;
- sorvegliare la conformità al GDPR;
- partecipare alle valutazioni d’impatto (DPIA);
- fungere da punto di contatto con l’Autorità di controllo.
Queste funzioni richiedono competenze giuridiche, organizzative e tecniche, oltre alla capacità di mediazione tra esigenze aziendali e normative. Il Data Protection Officer non è responsabile del trattamento, ma supporta il titolare nel garantire la conformità, fungendo da raccordo tra l’organizzazione e l’autorità garante.
Il GDPR consente la designazione di un DPO interno o esterno, purché siano garantite indipendenza, competenza e assenza di conflitti di interesse.
- Il DPO interno conosce bene l’organizzazione, ma può subire pressioni o conflitti di ruolo se non adeguatamente posizionato nell’organigramma.
- Il DPO esterno, spesso più imparziale, può offrire competenze trasversali, specie se organizzato in un team multidisciplinare, ma deve essere pienamente integrato nei processi aziendali.
La scelta deve sempre essere guidata da criteri di merito, esperienza e competenze specifiche nel settore di riferimento.
Alla luce dell’evoluzione interpretativa e delle crescenti esigenze di tutela, si rende sempre più necessaria una lettura estensiva dell’art. 37 GDPR. In particolare, dovrebbe considerarsi obbligatoria la nomina del Data Protection Officer non solo nei casi formalmente previsti, ma anche quando:
- il responsabile agisce per conto di un ente pubblico;
- il trattamento coinvolge dati sensibili di numerosi interessati;
- le attività del responsabile sono continuative e ad alto rischio.
Una tale rilettura sarebbe coerente con il principio di accountability e con la finalità ultima del GDPR: proteggere i diritti fondamentali degli interessati.
Conclusioni
In conclusione, il DPO rappresenta una figura chiave per garantire una gestione consapevole e responsabile dei dati personali. Al di là degli obblighi formali, la sua nomina risponde a una logica sostanziale di compliance, efficienza organizzativa e fiducia degli utenti.
È auspicabile che, in futuro, si assista a un’evoluzione del quadro normativo – o quantomeno a un’interpretazione consolidata da parte delle autorità competenti – che riconosca l’importanza della figura del Data Protection Officer anche nei contesti oggi esclusi dall’obbligo formale, ma coinvolti in trattamenti delicati e potenzialmente impattanti.
L’attuazione piena e corretta del GDPR non può prescindere dalla valorizzazione del DPO come guardiano della legalità digitale, capace di coniugare protezione dei diritti, innovazione e sostenibilità del trattamento. In un contesto normativo sempre più articolato, il Data Protection Officer non è solo un obbligo, ma una risorsa strategica.
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