Il Barcellona vince la Coppa del Re dopo una corrida di quasi 3 ore e chiude virtualmente l’epoca di Ancelotti al Real

La finale di Copa del Rey, iniziata alle 22 del 26 aprile e conclusa poco prima dell’una del 27 con il 3-2 a favore del Barcellona grazie alla legnata di Koundé al 116’, si consegna alla storia come una delle partite più spettacolari dell’anno. Una toreada magnifica, con i blaugrana dominatori nel primo tempo e […] L'articolo Il Barcellona vince la Coppa del Re dopo una corrida di quasi 3 ore e chiude virtualmente l’epoca di Ancelotti al Real proviene da Il Fatto Quotidiano.

Apr 27, 2025 - 14:51
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Il Barcellona vince la Coppa del Re dopo una corrida di quasi 3 ore e chiude virtualmente l’epoca di Ancelotti al Real

La finale di Copa del Rey, iniziata alle 22 del 26 aprile e conclusa poco prima dell’una del 27 con il 3-2 a favore del Barcellona grazie alla legnata di Koundé al 116’, si consegna alla storia come una delle partite più spettacolari dell’anno. Una toreada magnifica, con i blaugrana dominatori nel primo tempo e premiati dall’1-0 di Pedri, il Real Madrid orgoglioso e rabbioso capace di ribaltare la situazione nella ripresa con Mbappé su punizione e una cabezata di Tchouameni, il 2-2 del Barça su assist lunare di Lamine Yamal e gol-gioiello di Torres, fino all’epilogo nei supplementari, dopo un lungo corpo a corpo. Una corrida, conclusa con Rudiger che, sostituito per problemi muscolari, al fischio finale ha lanciato una borsa di ghiaccio contro l’arbitro De Burgos Bengoetxea. In sei hanno dovuto controllare l’ira del tedesco, ora a rischio di una pesante squalifica. Un’ulteriore mazzata sulla pelle di un Real a – 4 in campionato rispetto al solito Barça e con un altro Clàsico alle porte, l’11 maggio, a Montjuic, nella sfida ad altissima tensione che potrebbe consegnare il titolo ai blaugrana.

Oltre questa finale, quel che è e quel che sarà, c’è un signore del calcio: Carlo Ancelotti. Un’immagine rubata dalle telecamere nel bel mezzo della partita è stata quella dell’allenatore italiano che, in uno dei tanti momenti batticuore, ha impugnato la scatolina con le gomme da masticare e ha rovesciato il contenuto in bocca. L’estrema risorsa per scaricare i nervi. Carlo ha negato con fierezza l’esistenza del rigore fischiato dall’arbitro al 96’ a favore del Barcellona e poi cancellato da De Burgos Bengoetxea dopo la visione al Var. Ha scosso la testa quando i suoi funamboli, Vinicius e Mbappé, hanno perso il pallone per la solita testardaggine nel giocare da soli contro tutti. E’ rimasto attonito quando il divino Modric, ormai prossimo ahinoi ai 40 anni, ha passato il pallone in modo avventato, consentendo al Barça di trovare il colpo del 3-2. Travolto, ma non sconvolto, Ancelotti è andato a stringere la mano al collega tedesco Hansi Flick, lanciato verso il sogno Triplete. Un gesto di classe, nel bel mezzo della solita corrida lacrime e sangue del Clàsico di Spagna.

“Non c’è nulla da rimproverare, siamo stati più vicini alla vittoria dei nostri avversari, poi il calcio, si sa, ci mette sempre la coda. Dispiace per come è andata, ma abbiamo fatto il nostro dovere. Ora non dobbiamo mollare, c’è ancora la Liga. Il mio futuro? Questo sarà il tema delle prossime settimane, lo sappiamo”. Le parole di Ancelotti sono orgoglio senza pregiudizio. Anche in Groenlandia e Nuova Zelanda il popolo del calcio sa che è quasi impossibile la permanenza dell’allenatore italiano alla corte di Florentino Perez, uno dei peggiori incendiari del football planetario – la gazzarra sull’arbitro alla vigilia del match è stata vergognosa -. Ancelotti a Madrid ha conquistato quindici trofei, tra i quali tre Champions. È uno dei tecnici più decorati della storia del Real, ma non ha mai perso la testa. È stato sempre fedele a se stesso e ai suoi principi di vita. È padrone del suo futuro: può scegliere il Brasile, può tornare in Italia – Milan e Roma, occhi aperti -, può persino dire basta. Merita un’uscita degna, nel rispetto di tutti: dall’esagitato Florentino all’ultimo dei tifosi. Lo merita per la sua storia, per il suo stile, per le sue buone maniere. Signori si nasce, e Carlo, pur essendo di origini contadine, è un vero signore. Non solo del calcio.

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