I tagli di Trump alla ricerca costeranno caro agli americani?
163 miliardi di dollari in meno per ricerca e sviluppo. È quanto vorrebbe Trump per l’anno fiscale 2026. Tuttavia, l’American University stima che si tradurrebbe in una riduzione del Pil di 1.000 miliardi di dollari. Per non parlare dello spazio che lascerebbe alla Cina... Fatti, numeri e commenti.

163 miliardi di dollari in meno per ricerca e sviluppo. È quanto vorrebbe Trump per l’anno fiscale 2026. Tuttavia, l’American University stima che si tradurrebbe in una riduzione del Pil di 1.000 miliardi di dollari. Per non parlare dello spazio che lascerebbe alla Cina… Fatti, numeri e commenti
Risparmiare oggi per pagare (molto di più) domani. Sembra questa la strategia adottata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump in materia di finanziamenti federali per la ricerca e lo sviluppo. È sua intenzione infatti ridurli del 23%, ma secondo la comunità scientifica più che in un guadagno si tradurrebbe in un buco da 1.000 miliardi di dollari nel Pil del Paese e in grandi passi indietro. Oltre che in una sconfitta nella competizione con la Cina.
TAGLIO (E CONSEGUENZE) SENZA PRECEDENTI
Il bilancio proposto da Trump per l’anno fiscale 2026 prevede un taglio senza precedenti ai finanziamenti federali per la ricerca e lo sviluppo (R&S): il 23% in meno, ovvero 163 miliardi di dollari. Tuttavia, molti esperti, scrive Quartz, stanno avvertendo che questi risparmi a breve termine “potrebbero avere gravi ripercussioni a lungo termine sull’economia e compromettere la competitività globale del Paese”.
A confermarlo è anche uno studio dell’American University che ha cercato di quantificare il danno di questi tagli. Ne è emerso che una riduzione del 25% dei fondi pubblici per la ricerca e lo sviluppo ridurrebbe il Pil del 3,8%, ovvero più di 1.000 miliardi di dollari, diminuendo le entrate fiscali annuali del 4,3% e rendendo l’americano medio circa 10.000 dollari più povero (in termini di oggi).
ISTITUTI E SETTORI COLPITI
Tra i vari ambiti della ricerca e dello sviluppo ci saranno istituti e settori che sentiranno più di altri i tagli. Come ha scritto anche Start, gli studiosi di clima ed ecologia, per esempio, sono tra i più preoccupati perché i loro fondi verrebbero quasi azzerati. Il governo federale infatti è la principale fonte di finanziamento per la ricerca scientifica di base e applicata nel Paese perché, come ha sottolineato l’American University, “i ritorni su tali investimenti richiedono 20-30 anni, un periodo troppo lungo per i privati che rischiano investimenti significativi”. Tuttavia, per il National Bureau of Economic Research, questo tipo di finanziamento pubblico per la ricerca di base “crea un canale per l’innovazione e la commercializzazione nel settore privato”.
Nel dettaglio, stando a quanto riportato da Quartz, la Casa Bianca vuole ridurre di più della metà il budget scientifico della Nasa e sta chiedendo tagli del 37% alla spesa del National Institutes of Health (Nih) e di oltre il 50% alla National Science Foundation (Nsf), i due principali finanziatori pubblici della scienza negli Stati Uniti.
Molti scienziati, economisti e altri esperti ritengono però che questo costerà al Paese molto più di quanto farà risparmiare.
GLI EFFETTI SULL’OCCUPAZIONE
Il World Economic Forum (Wef) del 2023 poi, oltre a osservare che i finanziamenti federali hanno condotto a scoperte rivoluzionarie (e ad alto rendimento) quali internet, il Gps, i semiconduttori, il Progetto genoma umano e numerosi progressi nel trattamento medico, calcola che “ogni 25.000 dollari spesi in finanziamenti pubblici per la ricerca e lo sviluppo viene creato un posto di lavoro”.
“Usando queste metriche – afferma il Wef -, un investimento di 100 miliardi di dollari teoricamente genererebbe 4 milioni di nuovi posti di lavoro. I dati tra i vari settori e industrie sono chiari: la R&S finanziata dal governo favorisce direttamente e indirettamente l’innovazione e la crescita dell’occupazione”.
UNA SFIDA PERSA CONTRO LA CINA
Ciliegina sulla torta, con i tagli auspicati da Trump, l’ambito primato degli Stati Uniti nelle biotecnologie e nell’intelligenza artificiale (IA) resterebbe solo un desiderio. “Se quei numeri, che variano tra il 20% e il 45%, sono reali, voglio essere molto chiaro: non siamo più in una gara con la Cina sulla ricerca biomedica. Quella gara l’abbiamo già persa”, ha dichiarato Sudip Parikh, presidente dell’American Association for the Advancement of Science.