I destini incrociati di due madri. Una sviene dal dolore, l’altra indagata
La mamma di Ilaria Sula ha un malore davanti al feretro, quella del killer accusata di occultamento di cadavere

Non c’è modo di scegliere i propri genitori, ma c’è modo di poter scegliere che tipo di genitore si vuole essere. Una frase, questa, che vale per tutti e quattro i protagonisti di questa tragedia: la vittima Ilaria Sula, sua madre Gezime, l’assassino Mark Samson e sua madre Nosr.
Le due fotografie che vedete sopra sono la stessa storia, ma diversa. Dove una verità uguale per tutti, la bellezza di essere madre, trascende e si trasforma in un doppio binario terribile: la perdita di un figlio, da un lato, e dall’altro il folle desiderio di salvarlo, il figlio, da qualunque cosa, principalmente da se stesso. Dove la realtà che si presume sempre bellissima, la maternità, si trasfigura e diventa qualcosa destinato a rimanere inaccessibile, nascosto tra le pieghe delle diverse distorsioni della vita quotidiana. E dunque, c’è qui sopra, a destra, Gezime, una madre che piange, sviene, per un dolore talmente inarrivabile, talmente osceno e irreale che l’uomo non ha mai saputo dargli neanche un nome: perché se si perde un coniuge si è vedovi, se si perde un padre o una madre si è orfani, ma cosa si è se si perde un figlio? Niente, si diventa niente. Così come il linguaggio diventa niente, si ferma, affondato nelle sabbie mobili di un dolore così grande da non avere nome. Perché supera anche la forza delle parole.
E poi c’è la foto a sinistra. Che a me fa tornare alla mente la frase di un’icona del femminismo quale Erica Jong: "Nessuno stato è cosi simile alla pazzia, da un lato, e al divino, dall’altro, quanto l’essere incinta. La madre è raddoppiata, poi divisa a metà e mai più sarà intera". Mai più intera sarà la madre di Ilaria – oggi spezzata in migliaia di pezzi – e mai più vicina alla follia può immaginarsi Nosr, la madre del suo assassinio, che appare ferma e sicura, accanto al marito dagli occhi disperatamente persi nel vuoto, mentre vanno a incontrare il figlio assassino in carcere. Oggi si sa che quella madre è indagata, che vide Ilaria uccisa dal figlio, che lo aiutò a nasconderne il cadavere. Un orrore moltiplicato dall’aver avuto come complice non sua madre, ma ’una’ madre.
Ma perché? Per una madre, non aver ’salvato’ il proprio figlio, in qualsiasi senso, è sempre una sconfitta. La madre di Mark ammette di essere stata gelosa di quella ragazza e poi cerca di salvarlo, in modo aberrante, aiutandolo a disfarsi del suo cadavere. È la madre che ha perso il senso stesso del suo essere, che ha trasformato l’amore per suo figlio in cappio, in catena, in desiderio morboso di tenerlo stretto a sé e di essere, lei e solo lei, la tenutaria finale delle sue scelte, il giudice unico della sua vita. Suo figlio è e sarà sempre il bambino da cui non può, anzi, non deve staccarsi perché pensa che, senza la sua indispensabile presenza, non potrà muoversi liberamente nel mondo, e perché lei stessa, la madre, non avrà più motivo di esistere senza il suo ruolo. All’ombra di una madre simile nessun bambino cresce e diventa uomo. E nessuna donna può andar bene per l’Eletto. Troppo alta, troppo bassa. Esigente, intransigente, accomodante, dimessa. O straniera.
E se è vero, come è vero, che quella di Ilaria Sula è una tragedia, l’epitaffio può scriverlo solo un maestro della tragedia greca come Sofocle: "Per una madre, i figli sono àncore della vita". E una volta che si leva quell’àncora, si sa, c’è un mare ignoto oltre l’orizzonte.