I dazi di Trump frenano la crescita globale, le stime di S&P
L'impennata dei dazi americani pesa sulle economie mondiali. Secondo S&P, il Pil mondiale subirà un taglio di 0,3% nel 2025 e 2026, con pesanti ripercussioni su Stati Uniti, Cina, Eurozona e mercati emergenti. Il rischio di recessione negli Usa è salito al 35%.

Il 2 aprile 2025 l’amministrazione Trump ha annunciato un deciso incremento delle tariffe su tutte le importazioni, provocando un terremoto nei mercati internazionali e nelle prospettive economiche mondiali.
La nuova politica commerciale prevede una tariffa fissa del 10% per tutti i partner commerciali e una componente variabile fino al 50%, calcolata in base al disavanzo bilaterale. Particolarmente tesa la situazione con la Cina, contro cui sono state adottate tariffe reciproche record, del 145% da parte degli Stati Uniti e del 125% da parte di Pechino.
Secondo l’ultima analisi di S&P Global Ratings, questa "scossa tariffaria" ha già prodotto una revisione al ribasso delle stime di crescita globale: il Pil mondiale è ora atteso in calo di 0,3 punti percentuali nel biennio 2025-2026. Il clima di forte incertezza rischia di amplificare l’effetto sulle catene di approvvigionamento, sui flussi commerciali e sulle condizioni finanziarie, aumentando il rischio di una frenata più brusca dell’economia reale.
La risposta dei mercati all'annuncio dei nuovi dazi è stata immediata e violenta. Gli indici di volatilità, come il VIX, hanno raggiunto livelli paragonabili a quelli registrati durante la crisi finanziaria del 2008 e la pandemia di Covid-19.
L’indice S&P 500 accusa una perdita di circa il 5% rispetto ai livelli pre-annuncio, mentre l'oro ha messo a segno un rally del 25% da inizio anno, confermandosi bene rifugio in fasi di incertezza. I rendimenti dei Treasury Usa sono scesi sensibilmente, segnalando una fuga verso asset considerati più sicuri.
Tuttavia, la turbolenza si è gradualmente attenuata, lasciando un mercato finanziario ancora fragile e prudente. Diversi segmenti del credito, in particolare quello ad alto rischio, si sono praticamente congelati, mentre operazioni di M&A sono state rinviate. Gli investitori restano cauti, in attesa di una maggiore chiarezza sulla direzione della politica commerciale americana e sugli eventuali sviluppi futuri.
Sul piano macro, secondo le stime di S&P, le conseguenze delle nuove tariffe iniziano a riflettersi sulle prospettive di crescita delle principali aree economiche. Negli Stati Uniti, la crescita del Pil è prevista rallentare fino allo 0,9% nel quarto trimestre del 2025, mentre l’inflazione core dovrebbe salire al 4%, rendendo più complicato il compito della Fed, chiamata a bilanciare il sostegno alla crescita con il contenimento delle spinte inflazionistiche.
In Europa, la crescita dell’Eurozona sarà penalizzata soprattutto in Germania e in Italia, con un calo cumulativo dello 0,4% nel biennio 2025-2026.
In Asia-Pacifico, la Cina vedrà una contrazione significativa delle esportazioni verso gli Usa, che si ripercuoterà anche sulle economie più aperte come Malesia, Thailandia e Vietnam.
Nei mercati emergenti al di fuori dell’Asia, in particolare in America Latina, l'impatto diretto sarà più contenuto, ma non mancheranno effetti indiretti legati al rallentamento della domanda globale.
Il rischio principale individuato da S&P è che l’inasprimento delle tensioni commerciali, unito all'incertezza sui mercati finanziari, possa tradursi in una brusca contrazione dell'economia reale negli Stati Uniti e a cascata nel resto del mondo.
Sebbene al momento gli effetti concreti siano limitati a un deterioramento della fiducia e a un aumento della volatilità dei prezzi finanziari, il rischio di recessione negli Stati Uniti è salito al 35% in base alle stime di S&P. Una possibile contrazione della domanda interna americana, aggravata dalla perdita di potere d’acquisto e dalla frenata degli investimenti, potrebbe innescare un’ondata di debolezza anche tra i principali partner commerciali.
Gli analisti sottolineano inoltre che le tariffe difficilmente riusciranno a correggere il disavanzo commerciale statunitense, a meno di modifiche sostanziali nei risparmi e negli investimenti interni. L’idea di un rientro massiccio delle produzioni manifatturiere negli Stati Uniti, infine, appare ancora remota, viste le profonde differenze di costo rispetto alle economie asiatiche, che nemmeno dazi elevati riusciranno a colmare nel breve termine.