In Italia il giornalismo non se la passa bene

Come ogni anno, nella giornata della libertà di stampa arriva puntuale la classifica mondiale di Reporter Sans Frontieres (Reporter Senza Frontiere, RSF), che stila la lista dei Paesi in base al grado di tutela della libertà di informazione. Quest’anno, in un generico contesto di peggioramento globale, l’Italia scivola al 49° posto, tra le peggiori in […] The post In Italia il giornalismo non se la passa bene appeared first on L'INDIPENDENTE.

Mag 3, 2025 - 10:59
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In Italia il giornalismo non se la passa bene

Come ogni anno, nella giornata della libertà di stampa arriva puntuale la classifica mondiale di Reporter Sans Frontieres (Reporter Senza Frontiere, RSF), che stila la lista dei Paesi in base al grado di tutela della libertà di informazione. Quest’anno, in un generico contesto di peggioramento globale, l’Italia scivola al 49° posto, tra le peggiori in Europa, complice una classe politica che cerca di «ostacolare la libera informazione» con provvedimenti quali la cosiddetta “legge bavaglio” e un gran numero di procedure SLAPP (azioni strategiche volte a reprimere il dibattito pubblico). Seppure questo sia vero, la classifica si sofferma di nuovo su criteri del tutto parziali, incapace di individuare le cause profonde della crisi dell’informazione (basti pensare che quest’anno, come l’anno scorso e quello prima ancora, tra le principali minacce per l’Italia vi sono ancora i no vax).

Il rapporto di RSF cita il fatto che in Italia esiste un «panorama mediatico ben sviluppato», con «un’ampia gamma di media che garantiscono una diversità di opinioni». Una diversità che «si riflette anche nella carta stampata», che «comprende una ventina di quotidiani (Corriere della Sera, La Repubblica, ecc.), una cinquantina di settimanali (L’Espresso, Famiglia Cristiana, ecc.), oltre a numerose riviste e siti web di informazione». Quello che il rapporto non dice, tuttavia, è che si tratta di una diversificazione solo apparente, in quanto la quasi totalità delle testate più diffuse appartiene a una manciata di gruppi editoriali, a loro volta alle dirette dipendenze di un certo numero di aziende. Solo in chiusura, si fa un rapido accenno al fatto che «i media dipendono sempre più dagli introiti pubblicitari e da eventuali sovvenzioni pubbliche».

Peccato che il problema delle sovvenzioni private sia uno dei più grandi ostacoli all’esercizio di un giornalismo che possa chiamarsi tale. Il fenomeno ha raggiunto in Italia picchi tali da portare le stesse redazioni a ribellarsi contro i propri dirigenti. È stato il caso di Repubblica di qualche mese fa, quando lo stesso Comitato di redazione denunciò la pubblicazione, dietro lauto compenso, di contenuti pressochè dettati dalle aziende e spacciati come giornalistici (l’insofferenza verso Molinari da parte dei suoi stessi dipendenti lo portò ad essere poco dopo silurato dalla direzione del giornale). La manipolazione delle notizie a scopi politici è una costante dell’informazione degli ultimi anni, particolarmente evidente quando si parla di guerra in Ucraina o di aggressione militare israeliana a Gaza (dalle bufale sugli attacchi alle sinagoghe alle innumerevoli fake news sull’esercito russo, passando per la distorsione dei sondaggi e, quando non si riesce a fare di meglio, l’omissione vera e propria – ricordiamo un Mentana balbuziente che non riesce a pronunciare le parole “coloni israeliani” in diretta tv?). Il tutto a scapito della deontologia e dell’onestà intellettuale, che dovrebbero essere la base di questa professione.

Un esempio di tutto ciò lo abbiamo fornito nemmeno 12 ore fa: nel pomeriggio del 30 aprile, a seguito degli incendi che si sono propagati intorno alla città di Gerusalemme, la quasi totalità dei quotidiani italiani ha rilanciato la notizia (falsa) secondo la quale Hamas avrebbe incitato i palestinesi a «bruciare tutto». Una lettura diffusa dai media di informazione israeliani e ripresa acriticamente dai nostri quotidiani, che si sono ben guardati dall’esercitare il dovuto lavoro di verifica.

Se è vero, poi, che il governo Meloni ha messo in atto una serie di provvedimenti che limitano la libertà dei giornalisti di esercitare la propria professione (quali la citata “legge bavaglio”), il rapporto RSF non fa alcun riferimento al fatto che l’esecutivo abbia posto il segreto di Stato sul caso Paragon, il software militare israeliano dal quale un numero crescente di giornalisti ed esponenti della società civile hanno denunciato di essere stati spiati. Pur ammettendo l’esistenza di un legame contrattuale tra l’impresa israeliana e lo Stato, il governo ha risposto solamente con mezze verità, decidendo infine di trincerarsi dietro l’assoluto silenzio. La Federazione nazionale della Stampa italiana (Fnsi) e l’Ordine nazionale dei giornalisti hanno entrambe avviato una denuncia contro ignoti presso la Procura di Roma.

Insomma, i problemi che affliggono la stampa italiana sono ben più complessi, strutturali e profondi rispetto a quanto emerge dalla superficiale analisi di RSF, che sembra appellarsi più a problemi di allineamento politico. In fondo, basta osservare come sono distribuiti i colori sulla cartina per farsi venire qualche dubbio: ancora una volta, tutto ciò che non si trova allineato con le posizioni occidentali (quindi tutta la parte orientale della cartina, più Venezuela, Nicaragua, Honduras e, naturalmente, Cuba) è colorato di rosso – salvo qualche piccola eccezione. E il fatto che gran parte delle sovvenzioni all’organizzazione provengano dagli Stati Uniti, da grandi società con interessi e da enti statali potrebbe fornire una spiegazione più che sufficiente.

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