I bombardamenti tra India e Pakistan riaccendono il conflitto in Kashmir
L’India ha condotto una serie di raid militari contro il Pakistan, che ha risposto. Ci sono decine di vittime e nel Kashmir si rischia una nuova escalation militare.

- L’India ha accusato il Pakistan di essere coinvolto in un attentato contro cittadini indiani dello scorso aprile.
- Il 6 maggio ha lanciato l’operazione Sindoor contro il territorio pakistano del Kashmir.
- Le autorità indiane hanno detto di aver colpito infrastrutture terroristiche, ma il Pakistan nega.
L’India ha compiuto una serie di bombardamenti nel territorio del Pakistan, riaccendendo la diatriba sul territorio conteso del Kashmir. L’operazione militare indiana, denominata “Sindoor”, è stata lanciata nella serata del 6 maggio e ha causato almeno 26 morti e 40 feriti.
Le autorità dell’India hanno fatto sapere di aver colpito infrastrutture terroristiche legate all’attentato del 22 aprile, quando nel Kashmir indiano il gruppo Resistance Front, che l’India considera una costola dell’organizzazione terroristica pakistana Lashkar-e-Taiba, ha ucciso 26 turisti, perlopiù indiani. Il Pakistan ha invece denunciato che i raid indiani hanno colpito obiettivi civili, compresa una moschea, e ha parlato di un “atto di guerra”. Le autorità di Islamabad hanno risposto con una serie di raid nel territorio del Kashmir indiano, che hanno causato almeno 10 morti.
“Entrambe le parti stanno raccontando alle rispettive cittadinanze di aver vinto, di essere state le più forti”, spiega a LifeGate Matteo Miavaldi, esperto di questioni indiane e autore del libro Un’altra idea dell’India (add editore). “Questo dovrebbe lasciar sperare che entrambe siano soddisfatte di come sono andate le cose e che gli scontri possano finire qui. L’escalation, però, resta un’opzione”.
La diatriba sul Kashmir
Il Kashmir è una regione himalayana contesa tra India e Pakistan sin dalla divisione del subcontinente nel 1947. L’area è stata teatro di numerose guerre tra le due nazioni e di numerosi conflitti minori, che si sono protratti fino a tempi recenti. La suddivisione del territorio prevede che l’India eserciti il controllo sulla parte centromeridionale del Kashmir, mentre il Pakistan amministri la parte settentrionale e occidentale. In mezzo c’è una linea di controllo, un confine de facto, che non è mai stata riconosciuta ufficialmente dalle due parti.
Il 5 agosto 2019 il governo indiano guidato dal premier Narendra Modi ha revocato l’articolo 370 della Costituzione, che garantiva uno status speciale al Kashmir indiano. Questo ha comportato l’annullamento dell’autonomia legislativa e amministrativa della regione e ha portato, tra le altre cose, all’insediamento di cittadini indiani nell’area, modificando la sua connotazione demografica. La decisione ha suscitato forti reazioni a livello locale, in un territorio a maggioranza musulmana che è però minoranza nell’India induista. Ci sono state profonde proteste, a cui le autorità indiane hanno risposto in modo repressivo, tra blackout delle comunicazioni e arresti di massa. La mossa indiana ha fatto deteriorare nuovamente i rapporti anche con il Pakistan, che ha denunciato l’operazione come una violazione degli accordi bilaterali e ha interrotto le relazioni diplomatiche con il paese.
“Operazione Sindoor”
In questo contesto già di per sé difficile, dove negli anni si sono susseguite accuse reciproche tra India e Pakistan, piccoli scontri al confine e attacchi terroristici da parte di gruppi estremisti pakistani, l’evento che ha rotto gli equilibri è stato l’attentato del 22 aprile 2025, quando il gruppo Resistance Front, che l’India considera una costola dell’organizzazione terroristica pakistana Lashkar-e-Taiba, ha aperto il fuoco contro un gruppo di turisti indiani uccidendone 26.
“Dopo l’attentato la questione del Kashmir si è riaccesa perché è stato uno degli attentati più gravi degli ultimi 30 anni nell’area”, sottolinea Matteo Miavaldi. “Il governo indiano ha seguito lo sconvolgimento e lo shock dell’opinione pubblica indiana e si è trovato nella posizione di dover per forza rispondere e dimostrare che le forze armate avrebbero protetto l’India e il popolo indiano. Quello che è successo nelle scorse ore era in qualche modo prevedibile”.
Nella serata del 6 maggio l’India ha lanciato una serie di raid nel territorio del Kashmir pakistano. Sono stati colpiti nove obiettivi, che le autorità di Nuova Delhi hanno identificato come infrastrutture terroristiche, ma che le autorità pakistane hanno detto essere luoghi civili, come complessi edilizi dove c’erano anche scuole e una moschea. L’”operazione Sindoor” ha causato almeno 26 morti, tra cui almeno un bambino, e 40 feriti ed è stata definita dal Pakistan un atto di guerra, invocando il diritto all’autodifesa. Le autorità di Islamabad hanno risposto con una serie di raid in territorio indiano, dichiarando di aver anche abbattuto cinque velivoli militari. Il bilancio al momento è di almeno 10 morti.
Una nuova escalation militare?
“Il governo indiano da quando è presieduto da Modi non può permettersi di farsi vedere debole davanti al “nemico” pakistano e ha quindi accusato il paese di essere dietro all’attentato terroristico del 22 aprile. Prove non ce ne sono, ma è vero che in passato il Pakistan ha incoraggiato azioni terroristiche nel territorio indiano”, sottolinea Miavaldi. “Da qui il via agli attacchi missilistici delle scorse ore”.
L’escalation del 6 maggio 2025 rappresenta un punto critico in un conflitto che dura da decenni. La comunità internazionale ha espresso preoccupazione per il rischio di un conflitto su larga scala tra due potenze nucleari. Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha chiesto massima moderazione ai due paesi. Un appello condiviso anche dall’Unione europea, che ha invocato una soluzione pacifica, negoziata, reciprocamente concordata e duratura al conflitto.
“È una situazione molto liquida. La cosa più preoccupante è il contesto internazionale in cui ci troviamo: la presenza di Donald Trump alla Casa Bianca e il permissivismo che è stato dimostrato dalla comunità internazionale in merito all’offensiva di Israele sulla Striscia di Gaza dopo il 7 ottobre hanno chiaramente dato ispirazione all’offensiva indiana”, conclude Miavaldi. “I media indiani sono celebrativi dell’operazione e anche le opposizioni sono completamente dalla parte del governo e si stanno complimentando con l’esercito. La stessa cosa sta avvenendo in Pakistan. Dobbiamo guardare all’aspetto dimostrativo dell’uso della forza: entrambe dovrebbero aver dimostrato abbastanza forza alle rispettive opinioni pubbliche e questo potrebbe far pensare che gli scontri siano terminati. L’escalation militare però resta un’opzione”.