Google al bivio: l’Ai mette in forse il suo modello di business

Le recenti turbolenze di Wall Street hanno rivelato una crepa profonda nel modello di business di Google. Alphabet, la società madre del colosso di Mountain View, ha perso in una sola giornata tra i 150 e i 250 miliardi di dollari di capitalizzazione, trascinata da un crollo superiore al 7% delle sue azioni. A innescare […] L'articolo Google al bivio: l’Ai mette in forse il suo modello di business proviene da Economy Magazine.

Mag 14, 2025 - 07:50
 0
Google al bivio: l’Ai mette in forse il suo modello di business

Le recenti turbolenze di Wall Street hanno rivelato una crepa profonda nel modello di business di Google. Alphabet, la società madre del colosso di Mountain View, ha perso in una sola giornata tra i 150 e i 250 miliardi di dollari di capitalizzazione, trascinata da un crollo superiore al 7% delle sue azioni. A innescare il terremoto, una dichiarazione di Eddy Cue, vicepresidente senior dei servizi Apple, durante un processo antitrust negli Stati Uniti: per la prima volta in oltre due decenni, le ricerche effettuate attraverso Google su Safari sono in calo.

E’ anche vero che, scandolosamente e in barba a qualsiasi ovvia norma antitrust, da più di un anno chiunque utilizzi Safari come browser per navigare nei servizi Google – dalla ricerca alla mail – viene bersagliato da richieste piuttosto invasive di cambiare motore e passare a Chrome. Il che spiega come mai Eddy Cue abbia rivelato i guai di Google, violando la regola aurea in tutte le oligarchie secondo cui “cane non morde cane”:.. Ma andiamo avanti con il “caso” Alphabet…

Per quale motivo il crollo in Borsa? Gli utenti hanno capito che il calo delle ricerche non è occasionale ma sarà sistemico. Voi che leggere, come chi scrive, cominciamo tutti a preferire strumenti di intelligenza artificiale generativa come ChatGPTPerplexity AI e simili per le nostre ricerche. Non si tratta solo di una moda tecnologica, ma di un cambiamento di paradigma che sta mettendo in discussione la centralità stessa del motore di ricerca tradizionale.

La fine della “ricerca farlocca”

Per anni, Google ha dominato il mercato delle ricerche grazie a un modello di business fondato su un principio tanto semplice quanto redditizio: l’infiltrazione sistematica di contenuti sponsorizzati nei risultati di ricerca. Pubblicità “travestite” da suggerimenti rilevanti, link a pagamento, risposte costruite per soddisfare logiche algoritmiche piuttosto che bisogni reali evidenziando parole “pagate”. Anche i risultati non sponsorizzati erano (e sono) inevitabilmente filtrati da una griglia artificiale di ottimizzazione (in realtà bisognerebbe dire: pessimizzazione!) Seo (Search Engine Optimization), che premia la forma rispetto alla sostanza.

Il risultato? Una esperienza di ricerca adulterata, in cui l’utente deve districarsi tra annunci, suggerimenti commerciali e contenuti costruiti per “piacere a Google” più che per informare davvero.

L’IA, invece, è una cosa diversa. Non è il Verbo evangelico, e soprattutto nasce dalla stessa banale istanza di tutti questi pseudo-inventori del web: fare soldi. Ma si ripropone di farli in modo nuovo. Alla domanda di ricerca fornisce una risposta specifica, diretta, sintetica, conversazionale. L’utente fa la sua domanda e ottiene una risposta contestualizzata, non un elenco di link tra i quali poi dover cerca ancora. Nessuna pubblicità intercalata, nessuna necessità di scorrere magari cento risultati prima di trovare qualcosa di utile. È una disintermediazione radicale, che spiazza il modello di business pubblicitario di Google. Non è “etica” neanche questa, sia chiaro: magari ci vengono e ci verranno propinate le peggio bugie. Ma almeno, da più fonti! Perché lo scandalo DeepSeek – la start-up cinese che ha lanciato  un motore intelligente competitivo con quello di Ai spendendo quattro soldi – dimostra che l’AI in sé non costa tanto e permette un certo pluralismo nell’offerta. Ed è questo l’unico vero progresso: visto che tutti mentono, e mentono per soldi, almeno potreno scegliere tra bugie diverse.

Apple prepara la fuga

L’intervento di Eddy Cue non si è fermato a una fotografia dell’esistente. Ha annunciato che Apple sta valutando l’integrazione di motori di ricerca basati su IA nel suo browser Safari, citando OpenAI, Perplexity AI e Anthropic tra i candidati. Come ha fatto Meta, che ha infilato la possibilità di fare domande all’AI nei tool ordinari di Whatsapp… A sua volta ponendosi in concorrenza diretta con Google, ma questo Wall Street non l’ha ancora capito. La mossa di Apple porterà alal ridiscussione, e probabilmente alla fine, del redditizio accordo che lega Apple a Google, per il quale quest’ultima paga fino a 20 miliardi di dollari all’anno pur di restare il motore di ricerca predefinito su iPhone e iPad.

Per Alphabet sarebbe un colpo durissimo, non solo in termini economici ma soprattutto simbolici: l’alleanza con Apple ha rappresentato finora uno degli ancoraggi più forti della sua supremazia.

Il futuro (pubblicitario) è incerto

Il vero nodo, però, è che l’intero modello di business di Google è costruito sulla pubblicità: l’86% dei ricavi del gruppo proviene dalla vendita di spazi pubblicitari, in particolare quelli legati alla ricerca. Se gli utenti iniziano a cercare altrove – e l’intelligenza artificiale rende questa alternativa sempre più competitiva – Google rischia di perdere il controllo del suo canale principale di monetizzazione. Gli investitori – per quanto lenti come bradipi e soprattutto avvitati alla zona di confort del Nasdaq, che trasforma in oro da vent’anni anche la cacca, sia pure per poco – cominciano a interrogarsi su come il gruppo potrà riconvertirsi in un mondo dove la “ricerca” non è più un elenco di link da vendere, ma una conversazione intelligente da offrire.

L'articolo Google al bivio: l’Ai mette in forse il suo modello di business proviene da Economy Magazine.