Goldman Sachs: dazi permanenti costeranno agli Usa fino al 2% del reddito reale

Tornano i dazi, ma con un prezzo elevato. Secondo Goldman Sachs, l’aumento strutturale delle tariffe commerciali negli Stati Uniti potrebbe avere effetti duraturi e negativi sull’economia. Tra i principali rischi: calo della produttività, riduzione degli investimenti e peggioramento della competitività industriale. E mentre il reshoring resta in gran parte illusorio, si moltiplicano gli effetti collaterali sul piano politico e tecnologico.

Mag 15, 2025 - 19:46
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Goldman Sachs: dazi permanenti costeranno agli Usa fino al 2% del reddito reale

Secondo l’analisi di Goldman Sachs, il sistema commerciale statunitense è entrato in una fase di rialzo strutturale delle tariffe. Il report stima che il tasso effettivo medio delle tariffe applicate dagli Stati Uniti aumenterà di circa 13 punti percentuali nel 2025, superando i livelli registrati dagli anni ’30 del Novecento.

In uno scenario in cui queste misure dovessero diventare permanenti, il reddito reale degli americani potrebbe ridursi dell’1,5-2% nel lungo periodo secondo le stime di Goldman Sachs. Questo impatto è legato al fatto che le imprese più produttive, quelle che operano su scala globale, sono anche le più penalizzate dalle restrizioni commerciali: vengono colpite direttamente da costi più alti e indirettamente da un minore accesso a tecnologie, clienti e input globali.

La banca Usa evidenzia come il commercio non solo alimenti la concorrenza, ma permetta anche una migliore allocazione delle risorse, che ora rischia di bloccarsi.

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Nel lungo termine, il protezionismo potrebbe diventare un vero e proprio freno strutturale per la crescita economica. Il report sottolinea come le tariffe più elevate riducano l’efficienza produttiva penalizzando l’acquisto di beni capitali importati, in particolare macchinari e attrezzature. Questo si traduce in una minore propensione a investire, che ha conseguenze dirette sul tasso di crescita potenziale del Pil.

Goldman Sachs stima una riduzione del Pil reale di circa 0,75 punti percentuali rispetto allo scenario baseline. Inoltre, viene sottolineata una correlazione chiara tra bassi prezzi dell’equipment, alti tassi di investimento e una maggiore produttività aggregata. L’interruzione delle catene globali di fornitura e il venir meno delle economie di scala porteranno le imprese a produrre con costi più alti e minor efficienza, riducendo la competitività complessiva degli Stati Uniti.

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Nonostante l’obiettivo politico di rilocalizzare la produzione negli Stati Uniti, Goldman Sachs segnala come il reshoring (rilocalizzazione) sia economicamente poco sostenibile nella maggior parte dei settori. I dati del report mostrano che i costi di produzione negli Usa sono fino al 50% più alti rispetto a quelli dei principali partner commerciali, come Messico, Cina e Vietnam.

Solo in comparti ad alta intensità tecnologica, come aerospazio e farmaceutica, gli Stati Uniti risultano relativamente competitivi, ma anche qui il reshoring avviene più per effetto di incentivi fiscali (come quelli previsti dall’Inflation Reduction Act) che per i dazi. Inoltre, la costruzione ex novo di impianti produttivi domestici richiede tempo e capitali, e difficilmente può rispondere nel breve termine alle dinamiche di mercato. L’illusione di una reindustrializzazione massiccia si scontra con un sistema produttivo strutturalmente più costoso e meno flessibile.

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Il report individua infine una serie di effetti collaterali meno visibili ma non meno dannosi. Uno dei principali riguarda la minore pressione competitiva: in un contesto protetto, le imprese domestiche hanno meno incentivi a innovare, migliorare l’efficienza o abbassare i prezzi. In parallelo, aumenta il rischio di distorsioni politiche, con un’accresciuta incidenza del fenomeno del rent-seeking: aziende che cercano protezione tramite lobbying piuttosto che investire in competitività.

Goldman Sachs avverte che periodi caratterizzati da tariffe elevate, come negli anni '80, hanno storicamente favorito la creazione di privilegi settoriali e una riallocazione inefficiente delle risorse. Anche dal punto di vista dell’innovazione tecnologica, i costi più alti degli input e il minore accesso a reti internazionali rischiano di rallentare la transizione digitale e verde dell’economia americana.

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