Cristò: sono i limiti a rendere illimitati

Cristò, che meraviglia leggerti di nuovo, e che bellezza questo tuo “Penultime parole”, appena uscito per Mondadori. Con una lingua magnifica...

Mag 18, 2025 - 10:10
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Cristò: sono i limiti a rendere illimitati

Cristò, che meraviglia leggerti di nuovo, e che bellezza questo tuo “Penultime parole”, appena uscito per Mondadori. Con una lingua magnifica la protagonista ci racconta di sé e della sua famiglia (padre, madre, un fratello e una sorella) con la quale vive in una piccola casa su una collina a ridosso di un giovane bosco. Dalla finestra della sua camera si vede un paese che si spopola poco a poco. Il silenzio, che tu definisci “un gas, riempie tutto”, subentra alle parole. La famiglia non si parla più, le frasi si fanno più rarefatte e il mutismo occupa tutto lo spazio. Uno scatolone alla volta, vengono seppelliti i molti libri e la natura (piante, fiori, insetti) invade le mensole rimaste vuote e da lì si espande per tutta la casa.

Fin dal tuo primo libro che ho letto, “L’orizzonte degli eventi” (e poi “La carne”, “That’s (im)possible”, “La meravigliosa lampada di Paolo Lunare” soli per dirne alcuni) mi sono chiesta quale definizione sia più giusta per le tue opere. Non perché sia necessario incasellare, per carità. È un’epoca, questa, in cui tutto va catalogato e inscatolato, anche le persone. Quasi fossimo prodotti su una piattaforma virtuale. "Se hai visto quello, allora potresti vedere questo". "Dal momento che ti è piaciuto X, allora potrebbe piacerti Y". Schiavi di un algoritmo che non ci permette di abbandonare quello di cui vorremo liberarci e ci condanna a essere sempre uguali. Ma vorrei sapere, prima che si perdano tutte le parole, se ne esiste una per evocare un intero immaginario. Irreale? Fantastico? Surreale? Una sorta di post-realismo magico? O forse la più giusta è: iperreale. Perché la realtà che racconti è talmente esatta e piena da includere il fantastico.

In principio era il Verbo, dicono le Scritture. Un verbo che si fa carne e poi materia che si dissolve, si compenetra nella natura, si diffonde, si espande, si fa silenzio. Finché viene un altro Verbo, altra materia e, forse, riprende il ciclo. Possiamo sopravvivere nel silenzio, Cristò? E può esistere la parola senza una natura e una sostanza su cui innestarla? C’è separazione fra spirito e materia? È questa natura che assorbe le nostre spoglie e che distribuisce atomi di noi nelle piante, nell’acqua, nell’aria a renderci immortali? O sono i pensieri trasformati in parole, e poi in libri, a farci eterni?

Il romanzo sembra suggerire che siano i nostri limiti a renderci illimitati, come la mano destra perduta in guerra del povero Paul Wittgenstein che tu citi fra le pagine. Fu quell’assenza a provocare la scrittura di bellissime partiture musicali per sola mano sinistra. D’altra parte, senza silenzio e senza vuoto, come troverebbe posto quello che ancora deve essere creato?

Mi sto facendo filosofa, ma ogni pagina suscita mille riflessioni. Che bel romanzo hai scritto, devi esserne contento. Almeno quanto lo sono stata io nel leggerlo.