Criptovalute: perché l’80% delle banche rifiuta i clienti crypto
La maggioranza delle banche rifiuta clienti legati alle criptovalute per scarsa conoscenza e rischi regolatori.


L’80% delle banche interpellate da Nacha Payments Innovation Alliance si dichiara pronta a rifiutare clienti coinvolti nel processamento di criptovalute. Questa percentuale emerge dall’analisi condotta su 63 professionisti del settore pagamenti bancari nell’ambito dello studio “Diving into the Fundamentals of Cryptocurrency as a Form of Digital Payment“. Ciò conferma una diffusa diffidenza verso le valute digitali, dovuta soprattutto a una comprensione ancora limitata degli aspetti tecnici, economici e regolatori legati a questo settore.
Nonostante la riluttanza ad aprire rapporti con aziende o individui attivi nel campo crypto, quasi il 90% degli intervistati riconosce che le loro organizzazioni sono coinvolte, in qualche misura, con criptovalute o valute digitali a circuito chiuso. Tuttavia, il modo in cui tali attività vengono rilevate e monitorate rimane rudimentale e dipende spesso da procedure manuali.
Perché le banche temono le criptovalute? L’indagine di Nacha
L’atteggiamento prevalentemente negativo deriva dalla percezione che il processamento dei pagamenti in criptovalute sia complesso e ricco di rischi. Come sottolineato da James Maimone, esperto di Citizens Financial Group, la gestione delle transazioni crypto richiede una comprensione più ampia rispetto alle operazioni tradizionali, soprattutto per la conversione da valuta digitale a valuta fiat (moneta tradizionale), oltre che per la gestione delle normative vigenti.
Inoltre, la parte legislativa pesa molto sulla cautela delle istituzioni bancarie. Normative emergenti come il FIT 21 Act, il Stablecoin Act e il RFIA rappresentano tematiche ancora in evoluzione, che le banche devono monitorare attentamente per conformarsi senza esporsi a rischi eccessivi.
Trasparenza vs anonimato: le ambiguità della blockchain
Mark Dixon di Nacha evidenzia come le transazioni blockchain abbiano una natura apparentemente contraddittoria: se da un lato garantiscono un certo anonimato agli utenti, dall’altro sono estremamente trasparenti, poiché tutte le operazioni sono registrate su un registro condiviso e accessibile pubblicamente. Questa trasparenza può risultare utile nel prevenire frodi, ma al tempo stesso alimenta incertezza sulla privacy e sulla gestione dei dati personali.
Questa dualità contribuisce alla perplessità delle banche e alla conseguente riluttanza ad accogliere clienti attivi nel settore delle criptovalute, soprattutto in assenza di strumenti standardizzati per l’identificazione e il controllo.
La formazione come chiave per migliorare l’adozione delle criptovalute
Un punto sicuramente emerso dall’indagine è la necessità di una formazione più approfondita e mirata per gli operatori delle istituzioni finanziarie. Sharon Hallmark di Epcor sottolinea che la domanda sull’eventuale accettazione di clienti crypto ha evidenziato un gap educativo, con una comprensione media del settore valutata appena 5 su 10.
Tale lacuna educativa rallenta la diffusione delle criptovalute all’interno del sistema bancario tradizionale. Di conseguenza, gli esperti indicano come prioritario l’investimento in risorse formative che aiutino i professionisti a gestire in modo più efficace il rapporto con questo nuovo asset digitale.
Inclusione finanziaria e limiti delle criptovalute nel sistema bancario
Il potenziale delle criptovalute come strumento di inclusione finanziaria viene riconosciuto ma, al contempo, ne vengono evidenziate le difficoltà. Maimone ha affermato che blockchain e crypto possono permettere a persone e imprese di operare anche senza il supporto diretto di un sistema bancario tradizionale. Tuttavia, questa rimane un’obiettivo difficile da raggiungere soprattutto per via delle barriere normative, tecnologiche e di adozione.
La mancanza di adeguate protezioni per i consumatori rappresenta un ulteriore ostacolo: in particolare, la perdita delle chiavi di accesso ai wallet digitali comporta rischi irreversibili per gli utenti, fenomeno che scoraggia l’arrivo di nuovi clienti e mantiene alta la diffidenza delle banche.
Sfide regolatorie e user experience: punti critici per il futuro
Il paesaggio normativo legato alle valute digitali è ancora fluido. Norme come il FIT 21 Act o il Stablecoin Act non sono ancora completate o uniformemente applicate, creando un clima di incertezza tra gli operatori finanziari. Le banche preferiscono dunque mantenere un profilo conservativo per evitare esposizioni legali.
Inoltre, la user experience delle piattaforme crypto necessita di miglioramenti per diventare più intuitiva e sicura. Una migliore esperienza utente favorirebbe non solo l’inclusione ma anche la fiducia nel sistema da parte di clienti e istituzioni. Senza questi passi avanti, la crescita del comparto rimane limitata.
Verso un futuro migliore per il rapporto banche-criptovalute
In definitiva, l’indagine Nacha evidenzia come il rifiuto dell’80% delle banche verso clienti che operano in criptovalute derivi da una combinazione di scarsa familiarità, rischi legali e mancanza di strumenti adeguati per la gestione di queste attività. Tuttavia, il coinvolgimento indiretto del sistema bancario con le criptovalute raggiunge percentuali molto alte, segno che la trasformazione è iniziata ma deve accelerare in modo consapevole.
Per migliorare questo scenario, è indispensabile rafforzare la formazione degli operatori, sviluppare tecnologie più efficaci per il monitoraggio e identificazione delle attività crypto, e consolidare un quadro normativo chiaro e stabile. Solo così le criptovalute potranno integrarsi realmente nel tessuto finanziario tradizionale, offrendo benefici sia alle istituzioni che ai clienti.
Chi opera nel settore finanziario e chi utilizza valute digitali deve seguire attentamente questi sviluppi per cogliere le opportunità emergenti e prepararsi ad affrontare con competenza le sfide future.