Capela dos Ossos: il mistero nascosto dietro migliaia di teschi

La Capela dos Ossos a Évora invita alla riflessione sulla vita e la morte, e avvolge i visitatori in un "silenzioso abbraccio di ossa".

Apr 27, 2025 - 12:02
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Capela dos Ossos: il mistero nascosto dietro migliaia di teschi

Nel cuore di Évora, gioiello dell’Alentejo, sorge una delle testimonianze più intense e inquietanti del Portogallo: la Capela dos Ossos.

Infatti, la regione celebre per la sua autenticità e per la tradizione vinicola che la pervade, custodisce un monumento capace di sorprendere e scuotere anche il visitatore più preparato.

Ad accogliere la cappella è la solenne Igreja de São Francisco, ma dietro le sue mura si cela una storia che intreccia fede, arte e la consapevolezza della fragilità umana.

La genesi della Cappella: tra fede e meditazione

È nel fermento spirituale del XVII secolo che nasce l’idea della Capela dos Ossos. Un frate francescano, seguendo l’impulso controriformista del tempo, concepì questo luogo come uno strumento potente di meditazione sulla caducità della vita. L’intento era chiaro: suscitare nel cuore dei fedeli un turbamento tale da risvegliare la coscienza cristiana, spronandoli a vivere una fede più intensa e consapevole.

Non era un’idea isolata. In quegli anni, modelli simili si diffusero in Europa: simbolismi forti, capaci di parlare direttamente all’anima tramite il linguaggio universale della morte. Ogni scelta architettonica e decorativa nella Cappella delle Ossa nasce con questo scopo: ricordare a chi varca quella soglia che la vita è effimera e che, prima o poi, ogni uomo dovrà affrontare il grande mistero dell’aldilà.

Una scenografia di ossa: l’incredibile lavoro dei frati

Appena si entra, ci si trova avvolti da un’atmosfera sospesa, quasi irreale. Le pareti, le colonne e ogni anfratto sono interamente rivestiti da ossa e teschi umani. Sono circa cinquemila, provenienti dai numerosi cimiteri monastici che, all’epoca, sorgevano a Évora e che, occupando troppo spazio prezioso, spinsero i frati a un gesto pratico e simbolico al tempo stesso: esumare i resti e dare loro una nuova “vita” in questo straordinario ossario.

L’opera è di una precisione quasi maniacale. Le ossa sono allineate alla perfezione, disposte con un ordine rigoroso che dona al luogo una sinistra armonia. Le colonne, otto in totale, sorreggono il soffitto intonacato di bianco e dipinto con motivi allusivi alla morte, in uno stile che intreccia il tardo Rinascimento al primo Barocco. La luce, dosata con maestria, filtra da tre finestrelle poste sulla parete sinistra e ricrea giochi di ombre che sembrano animare le ossa in un lento e silenzioso mormorio.

A testimoniare lo scopo di tanta inquietudine, una frase scolpita all’ingresso avverte senza mezzi termini: “Noi ossa che qui siamo, per le tue aspettiamo.” Non è solo un monito. È una chiamata alla riflessione, uno squarcio aperto sulla verità che tutti, spesso, preferiscono ignorare: i passi all’interno della cappella diventano così un “pellegrinaggio intimo” verso la consapevolezza della propria finitezza.

L’ambiente stesso amplifica il senso di inevitabilità: le tre navate, larghe circa undici metri e lunghe quasi diciannove, si susseguono come un percorso rituale, accompagnato dallo sguardo vuoto delle migliaia di teschi incastonati tra cornici e archi, quasi a formare una cattedrale scolpita nella morte.

E se la presenza ossessiva delle ossa può risultare travolgente, basta sollevare lo sguardo per cogliere la delicatezza degli affreschi che decorano la volta, risalenti al 1810. Qui, i colori e i simboli biblici narrano episodi della Passione di Cristo, in un racconto visivo che alterna dolore e speranza.

All’uscita, il visitatore è accolto da un’altra sorpresa: un pannello in maiolica, opera dell’architetto Siza Vieira, che contrappone la crudezza della morte al miracolo della vita, in un ultimo gesto di riconciliazione. È come se la Cappella volesse chiudere il suo discorso sussurrando che, al di là della caducità, esiste ancora qualcosa di eterno.

Un’esperienza che lascia il segno

Visitare la Capela dos Ossos non è solo un tuffo nella storia o nella religiosità di un’epoca passata. È un viaggio personale, emozionante e perturbante, un invito a spogliarsi per un momento delle illusioni quotidiane e guardare in faccia la verità che ci accomuna tutti.

In quel silenzio ovattato, tra le ombre delle ossa e i riflessi sui marmi antichi, ognuno trova il proprio modo di rispondere a quella silenziosa, eterna domanda che echeggia tra le navate: che senso dare al tempo che ci è concesso?