Cambiamenti climatici, perché ci adattiamo meglio al freddo che al caldo

La popolazione europea ha meno difficoltà ad adattarsi al freddo rispetto al caldo, l'inquinamento atmosferico gioca un ruolo cruciale.

Mag 6, 2025 - 12:32
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Cambiamenti climatici, perché ci adattiamo meglio al freddo che al caldo

Punto primo: stiamo parlando dell’Europa e non dell’intero pianeta. Punto secondo: negli ultimi anni, nonostante i mutamenti climatici che stiamo osservando, si è ridotto il rischio di decessi legati alle alte o alle basse temperature. Fatte questa necessaria prolusione, colpiscono i risultati di una ricerca condotta dagli esperti del Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal), condotta in collaborazione con il Barcelona Supercomputing Centre (BSC) e pubblicata su The Lancet Planetary Health. Perché lo studio mostra chiaramente come negli ultimi anni si sia registrata una significativa diminuzione del rischio di mortalità correlato al freddo rispetto al primo decennio degli anni 2000. Attenzione: nello stesso periodo si è registrata anche una riduzione del rischio di decessi correlati al caldo. Ma in misura minore.

I risultati generali dello studio

Gli esperti hanno preso in esame le informazioni relative a temperatura e mortalità di oltre 800 regioni di 35 paesi europei per il periodo 2003-2020, per scoprire che il rischio relativo di morte alle temperature più basse è diminuito del 2% all’anno nella seconda decade considerata rispetto alla prima, contro un rischio relativo di morte alle temperature più alte calato ma con un tasso pari all’1% all’anno. Tradizionalmente, studi di questo tipo si sono basati su soglie di temperatura fisse per calcolare i rischi, senza considerare che la vulnerabilità a temperature identiche non è la stessa in tutte le parti d’Europa.

Per superare questa limitazione, il team ha sviluppato un nuovo concetto: la Temperatura a Rischio Estremo (ERT). Incrociando i dati regionali di temperatura e mortalità, questo nuovo approccio ha permesso di calcolare la temperatura alla quale il rischio di morte supera una certa soglia per ciascuna area geografica. I ricercatori hanno anche tenuto conto delle variazioni di mortalità per riflettere gli adattamenti alla temperatura nel tempo. Utilizzando questa metodologia, il team ha osservato che nel periodo 2003-2020 l’Europa ha registrato 2,07 giorni di freddo pericolosamente inferiore (giorni di freddo-ERT) ogni anno. Al contrario, i giorni di caldo pericolosamente elevato (giorni di caldo-ERT) sono aumentati di 0,28 giorni all’anno.

La cartina del clima

Sia chiaro. Il Vecchio Continente non si è trovato ad affrontare queste situazioni allo stesso modo. Le regioni dell’Europa sud-orientale, nonostante le condizioni più calde, hanno registrato un numero maggiore di giornate pericolosamente calde e fredde, che hanno causato un rischio maggiore di mortalità associata.

“Nel tempo siamo diventati più abili nell’affrontare le basse temperature, un processo noto in ambito scientifico come ‘adattamento’. Anche per quanto riguarda il caldo, le persone stanno diventando più resilienti, sebbene questo miglioramento sia inferiore all’adattamento al freddo. La vulnerabilità alle temperature estreme varia notevolmente a seconda della località, con le regioni dell’Europa meridionale più sensibili alle variazioni di temperatura rispetto a quelle dell’Europa settentrionale. Questa disparità è in parte dovuta a fattori socioeconomici, tra cui un isolamento abitativo inadeguato, una minore spesa sanitaria pubblica e un accesso limitato al supporto sociale o all’assistenza per le popolazioni vulnerabili”

spiega in una nota per la stampa del centro Zhao-Yue Chen, prima firmatari della ricerca.

Secondo Joan Ballester Claramunt, ricercatrice ISGlobal e autrice principale dello studio

“i risultati mostrano che, sebbene l’Europa abbia compiuto notevoli progressi nell’adattamento al freddo, le strategie per affrontare la mortalità correlata al caldo sono state meno efficaci. Un’indagine del 2024 ha rivelato che solo 20 dei 38 paesi europei hanno implementato sistemi di sorveglianza della temperatura e 17 paesi non dispongono ancora di piani d’azione per la salute legati al caldo (HHAP). Il nostro studio evidenzia la necessità di ulteriori progressi nelle attuali misure di adattamento al caldo e nei piani d’azione per la salute legati al caldo”.

Attenzione a caldo ed ozono

Parlare solamente di variazioni termiche, in ogni modo può essere riduttivo. Così gli studiosi hanno anche preso in esame la frequenza con cui le temperature estreme si sono verificate in giorni con livelli di inquinamento superiori ai limiti raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La co-occorrenza di questi due eventi, noti come “giorni composti”, si è verificata nel 60% dei giorni con temperature estreme e nel 65% dei giorni con temperature estreme.
Nel tempo, questi giorni combinati sono diminuiti, fatta eccezione per la combinazione di giornate pericolosamente calde e alti livelli di inquinamento da ozono, che è aumentata a un tasso di 0,26 giorni all’anno. Questo è un inquinante secondario, cioè non prodotto direttamente dagli scarichi. Perché si formi occorre infatti che l’ossido di azoto entri in contatto con la luce solare. Quando ciò avviene si forma questo composto tossico, che nulla ha a che vedere con il “buco dell’ozono” di cui si parla quando si discute delle radiazioni solari.

Sul fronte di problemi, alcune persone possono avere fastidi non appena si supera, seppur di poco, la soglia di allarme. E già a questi livelli il gas può cominciare a fare danni, irritando i bronchi, in due modi. La presenza del gas tende a far restringere il calibro di queste naturali “strade” dell’aria, come avviene nei normali processi di infiammazione. Possono comparire in questa fase colpi di tosse e difficoltà di respirazione, che negli anziani può assumere le caratteristiche di vero e proprio affanno. Inoltre l’ozono rende i bronchi più sensibili all’azione di eventuali allergeni presenti nell’ambiente. I più sensibili ad alti valori di ozono sono i bambini e gli anziani, che si adattano con maggior difficoltà alla “perversa” miscela dei gas nell’aria. Inoltre ha più facilmente disturbi di malattie polmonari, come enfisema o bronchite cronica. Infine, chi ha il cuore “debole” o ha già avuto un infarto può avere problemi, perché costretto a respirare male.