“Volontà manipolatoria e schemi patriarcali inaccettabili”, le motivazioni della condanna del filosofo Leonardo Caffo

L'imputato è stato condannato a 4 anni di carcere per maltrattamenti aggravati e lesioni gravi nei confronti dell’allora fidanzata L'articolo “Volontà manipolatoria e schemi patriarcali inaccettabili”, le motivazioni della condanna del filosofo Leonardo Caffo proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mar 5, 2025 - 18:18
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“Volontà manipolatoria e schemi patriarcali inaccettabili”, le motivazioni della condanna del filosofo Leonardo Caffo

Un “pigmalione moderno” con un “comportamento che denota sempre una volontà manipolatoria” ma anche basato su “schemi patriarcali del tutto inaccettabili” che hanno determinato “reiterati e costanti” atteggiamenti “mortificanti e vessatori tesi a ‘emendare’ i difetti” della ex compagna, e che “diverse volte” sono sfociati in “violenza (..) soprattutto verbale” ma anche “fisica”. Così il Tribunale di Milano nelle motivazioni della sentenza con cui Leonardo Caffo, il filosofo progressista e antispecista, è stato condannato a 4 anni di carcere per maltrattamenti aggravati e lesioni gravi nei confronti dell’allora fidanzata.

Come scrive il collegio della V sezione penale del Tribunale di Milano, presidente Alessandra Clemente e giudici a latere Valerio Natale e Maria Pia Bianchi, dall’istruttoria dibattimentale sono “emersi comportamenti reiterati nel tempo da parte” di Caffo “tesi a sottoporre la compagna a continue condotte di sopraffazione, manipolazione, a condizionamenti tali da” farla sentire “sicuramente soggetto debole, sia per la giovane età” sia per “l’assenza di una posizione sociale definita (…) inadeguata, insicura, non all’altezza della situazione” e di lui, filosofo affermato “che non perdeva occasione di rammentarle quello che avrebbe dovuto fare e non faceva, quello che avrebbe dovuto essere e non era, non limitandosi a spronarla, ma apostrofandola con insulti inerenti alla sua persona, alle sue problematiche, alla sua famiglia”.

Secondo le motivazioni della condanna questi comportamenti, “al di là della rilevanza penale”, sono cominciati nel 2019, “si sono protratte per tutto l’arco della gravidanza e dei primi anni di convivenza” e sono andati avanti in un “crescendo” e “minando fin dall’inizio la stabilità e il carattere” della ex “che si è sentita messa in discussione, non in grado di gestire la situazione. Si sentiva sbagliata – prosegue il Tribunale – si sentiva in colpa perché faceva delle scelte non condivise, perché reagiva alle provocazioni dell’imputato ad un certo punto anche con risposte violente, adottando il registro comunicativo dello stesso Caffo” in cui “la violenza soprattutto verbale, ma a volte anche fisica non era un caso. ma un registro comunicativo proprio del Caffo come è emerso fin dall’inizio, ogni volta che la parte offesa si poneva in contrasto con lui o in contrapposizione”.

Infatti va ricordato, per esempio, un litigio, nell’agosto 2020, che sarebbe finito con una frattura “scomposta” e “accorciamento del dito” di lei. Quindi, oltre a ritenere credibile la giovane donna, “nessun dubbio sull’abitualità delle condotte: gli insulti e le offese, non farla sentire adeguata anche davanti agli amici, erano situazioni molto frequenti”. Da tutto questo, secondo i giudici, “emerge chiaramente” anche la capacità manipolativa dell’imputato, non solo nei confronti” della giovane donna, ma pure “delle persone che frequentavano”.

L’imputato, che ha sempre respinto le accuse, dopo la sentenza aveva detto: “Spero ancora che non ci sia violenza nei confronti delle donne e non vedo nessuna ragione per contestare una battaglia così sacrosanta. Va bene colpirne uno per educarne mille: io sono stato colpito, speriamo che adesso educhino anche gli altri mille. Non so se sconto un clima, il clima è parzialmente giustificato perché la violenza di genere c’è. Non sarò qui a fare il paladino dell’altro lato, non mi vendo al migliore offerente”, ha aggiunto.

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