“Volevo spingermi il più vicino possibile alla morte, ero curioso”: si fa mordere da 850 serpenti velenosi che “ucciderebbero un cavallo”, la storia di Tim Friede
Si è fatto mordere volontariamente più di 850 volte, facendosi iniettare dosi di veleno che “normalmente ucciderebbero un cavallo“. Mamba neri, cobra reali, taipan, serpenti tigre: per 18 anni, Tim Friede, 57 anni, erpetologo autodidatta del Wisconsin, ha flirtato con la morte, spinto da “semplice curiosità” e dal desiderio di proteggersi, sviluppando un’incredibile iper-immunità ai […] L'articolo “Volevo spingermi il più vicino possibile alla morte, ero curioso”: si fa mordere da 850 serpenti velenosi che “ucciderebbero un cavallo”, la storia di Tim Friede proviene da Il Fatto Quotidiano.

Si è fatto mordere volontariamente più di 850 volte, facendosi iniettare dosi di veleno che “normalmente ucciderebbero un cavallo“. Mamba neri, cobra reali, taipan, serpenti tigre: per 18 anni, Tim Friede, 57 anni, erpetologo autodidatta del Wisconsin, ha flirtato con la morte, spinto da “semplice curiosità” e dal desiderio di proteggersi, sviluppando un’incredibile iper-immunità ai veleni più letali del pianeta. Un percorso estremo e pericolosissimo, che nessun medico consiglierebbe mai, ma che oggi potrebbe rivoluzionare la lotta contro gli avvelenamenti da morso di serpente, una piaga che uccide decine di migliaia di persone ogni anno, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.
“Volevo spingermi il più vicino possibile alla morte, fino al punto in cui mi trovo praticamente in bilico, e poi tirarmi indietro”, ha raccontato. Ma Friede voleva anche aiutare. Ha inviato un’e-mail a tutti gli scienziati che è riuscito a trovare, chiedendo loro di studiare la tolleranza che aveva sviluppato. Il sangue di Tim Friede, infatti, contiene un tesoro: anticorpi unici, capaci di neutralizzare le neurotossine non di una, ma di molteplici specie di serpenti velenosi contemporaneamente. È quanto emerge da uno studio rivoluzionario pubblicato ieri sulla prestigiosa rivista Cell, condotto da un team di scienziati della biotech californiana Centivax e della Columbia University, guidati rispettivamente da Jacob Glanville e Peter Kwong. “Ciò che rende il donatore [Friede] così entusiasmante è la sua storia immunitaria unica e irripetibile“, spiega Glanville, CEO di Centivax. “Non solo ha potenzialmente creato questi anticorpi ampiamente neutralizzanti, ma in questo caso potrebbe anche dare origine a un antidoto ad ampio spettro o universale”.
Il limite degli antidoti attuali
L’attuale metodo per produrre antidoti (sieroterapia) è rimasto quasi invariato da oltre un secolo: si immunizzano animali di grossa taglia, come cavalli o pecore, con il veleno di una singola specie di serpente e si raccolgono gli anticorpi che producono. Questo processo, spiegano gli esperti, ha limiti enormi: gli antidoti sono specifici per specie e regione geografica, spesso poco efficaci contro veleni diversi da quello usato per l’immunizzazione, e possono causare reazioni avverse nell’uomo a causa della loro origine animale. Trovare l’antidoto giusto, rapidamente, in una zona rurale dell’Africa o dell’Asia, è spesso una corsa contro il tempo persa in partenza.
Il cocktail dal sangue dell'”uomo antidoto”
Friede, consapevole della sua condizione unica (“All’inizio era molto spaventoso”, ha raccontato, “ma più lo fai, più diventi bravo e calmo”), ha contattato per anni scienziati disposti a studiare il suo sangue. L’incontro con il team di Glanville e Kwong ha portato alla svolta. I ricercatori hanno isolato dal sangue di Friede diversi anticorpi e li hanno testati su topi esposti a dosi letali di veleno proveniente da 19 dei serpenti più pericolosi al mondo (secondo la classificazione OMS), appartenenti alla famiglia degli elapidi (cobra, mamba, taipan, krait, serpenti corallo). Combinando i componenti più efficaci, hanno creato un “cocktail” di tre elementi: due anticorpi potentissimi isolati da Friede (chiamati LNX-D09 e SNX-B03) e una piccola molecola già nota come inibitore di tossine (varespladib). Il risultato sui topi è stato straordinario: “Quando abbiamo raggiunto i 3 componenti”, riferisce Glanville, “avevamo un’ampiezza senza precedenti di protezione completa per 13 delle 19 specie che avevamo esaminato e poi una protezione parziale per le restanti”. Un antidoto potenzialmente efficace contro la maggior parte dei serpenti elapidi del pianeta.
La sfida del super antidoto
Ora la sfida è portare questa scoperta dal laboratorio al campo. Il team inizierà presto a testare l’efficacia del cocktail sui cani portati nelle cliniche veterinarie australiane per morsi di serpente. Parallelamente, si lavora a un antidoto simile per l’altra grande famiglia di serpenti velenosi, le vipere. “Stiamo preparando i reagenti per […] stabilire qual è il cocktail minimo sufficiente a fornire un’ampia protezione contro il veleno dei viperidi”, illustra il professor Kwong. L’obiettivo finale potrebbe essere un singolo “pan-antidoto” o due cocktail distinti per elapidi e viperidi. Ma la sfida più grande, sottolinea Glanville, è quella produttiva e distributiva. Serviranno ingenti finanziamenti da fondazioni, governi e aziende farmaceutiche per portare l’antidoto alla produzione su larga scala e renderlo accessibile. “Questo è fondamentale”, conclude, “perché sebbene ogni anno si verifichino milioni di avvelenamenti da serpente, la maggior parte si verifica nei Paesi in via di sviluppo, colpendo in modo sproporzionato le comunità rurali”.
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