Tutto il mondo a San Pietro

In 400mila per l’addio al pontefice. L’omaggio dei grandi e degli ultimi. .

Apr 27, 2025 - 05:31
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Tutto il mondo a San Pietro

Papa Francesco firma l’ultimo regalo alla Chiesa cattolica e al mondo. In sole 150 ore – particella infinitesimale nella storia dell’umanità – condensa la sua missione, il suo testamento, i suoi valori. Nelle esequie solenni, a sei giorni dall’ultimo giro in papamobile, riceve l’ultima ovazione di San Pietro, obbliga i potenti della Terra a confrontarsi con la sua agenda di pace, riunisce 400mila persone tra piazza, via della Conciliazione e il percorso per la basilica di Santa Maria Maggiore dove riposa da ieri. Il suo carisma fonde rancori, pudori, timori. Li polverizza e li dissolve, trasformandoli in scommessa illuminata.

Dai sei giorni di centrifuga papale (il difficoltoso saluto pasquale, la morte per ictus il lunedì dell’Angelo, la vestizione del martedì, i tre giorni di esposizione della salma con 250mila visite, fino alle esequie di ieri) esce fuori un concentrato di fede, speranza, autenticità. Potenti e umili nella stessa piazza, il saluto commosso di cattolici e non, l’apprezzamento planetario per la figura di papa amante del coraggio, non infallibile ma sempre apprezzabile perché orientato ai traguardi più alti.

Il presunto pontefice divisivo raccoglie applausi in piazza e in mondovisione, in una messa che è la summa delle sue pulsioni, anche quando non realizzate. No, il miracolo di un funerale snello – propagandato nei dettagli, dalla bara doppia anziché tripla più altre volontà spicce – proprio non riesce, ed è un bene. Perché due ore secondo la liturgia di Santa romana chiesa – aperta all’afflato delle Chiese cattoliche orientali – sono il minimo sindacale per salutare il combattente della pace, il cultore della misericordia, il sostenitore della speranza, il sognatore della concordia universale. Donald Trump e Volodymyr Zelensky seduti su due sedie spoglie dentro San Pietro sono la miglior cartolina d’addio, il successo – foss’anche solo d’immagine – della campagna più aggressiva di Francesco per spegnere i conflitti che avvelenano il mondo: dall’Ucraina a Gaza, sul piano militare; dall’eccesso di ricchezza del Nord del pianeta (comunque in crisi) alle difficoltà dei Paesi poveri e in via di sviluppo, sul piano economico e geopolitico. La fede applicata con dosi energiche di concretezza alle piaghe vecchie e nuove dell’umanità rappresenta l’eredità più sfidante di Francesco, a partire dalla Chiesa e dai suoi cardinali chiamati alla responsabilità del Conclave.

Dalla piazza di ieri, che ha sottolineato la vigorosa omelia del cardinale decano Giovanni Battista Re con applausi al rifiuto della guerra ("dolorosa e tragica sconfitta"), fino all’impegno in tutti i contesti per il superamento delle diseguaglianze, emerge una conclamata corrispondenza di ambizioni e di stile tra la Chiesa plasmata da Bergoglio e i suoi fedeli venuti a salutarlo. È uno spettacolo, la piazza simbolo della cristianità. Quella semplice bara di legno con croce bianca e stemma episcopale che riunisce "todos, todos, todos", "tutti, tutti, tutti" – lo slogan preferito da Francesco – è un magnete potentissimo che agisce e non scompare. Non cessa di esistere con la morte del pontefice e polarizza la Chiesa con braccia sempre aperte.

Le esequie di Francesco sono uno ’spot’ anche per Roma, capitale duale, italiana e un po’ vaticana. Un raddoppio premiante. Perché non è mai facile organizzare e gestire una macchina solida e rapida. Capace, senza particolari sbavature, di assicurare la circolazione di 400mila fedeli e di 170 delegazioni straniere con tutti i pesi massimi mondiali. È una competenza nazionale di protezione civile e polizia che trascende le stagioni di governo e rende più attrattiva la città, ora sulla via della risalita anche grazie al Giubileo. Basti pensare alla pedonalizzazione da via Ottaviano a piazza Risorgimento, degna in tutto e per tutto delle migliori scelte urbanistiche europee. E Francesco, con la scelta di essere sepolto a Santa Maria Maggiore, continuerà a contribuire al bene di Roma. Al contrario di Benedetto XVl, nessuno – neppure tra i suoi fan più irriducibili – oggi sente il bisogno di proclamarlo santo. Per quanto ha fatto nel suo pontificato e anche solo in quest’ultima settimana, Francesco merita già riconoscenza eterna.