Trump l’anti-Papa sfida la Cina. Dolan critica il meme: un errore
"America first" e trivelle: il catechismo laico del tycoon agli antipodi delle encicliche di Francesco. Il presidente Usa ha bisogno di una Chiesa amica, ’occidentale’ e lontana da Pechino.

Del Prete
Il Papa è morto, l’anti-Papa vive. E governa. Non in Vaticano, ma nel mondo che pretende di ricondurre a sé. Il 26 aprile, durante il funerale di Francesco, Donald Trump sedeva in prima fila. Non per rendere omaggio al defunto Bergoglio, come esplicitato fin dalla violazione del dress code; ma per occupare simbolicamente lo spazio. Per mandare un messaggio. Il Conclave non è ancora iniziato, ma la battaglia per l’anima della Chiesa è già in corso.
Sabato la conferma è stata affidata a un meme: il presidente americano vestito da Papa in un fotomontaggio generato dall’intelligenza artificiale e rilanciato sui social network della Casa Bianca. L’idea, liquidata dal vicepresidente americano JD Vance come "uno scherzo", ha innescato una bufera. La New York State Catholic Conference l’ha definita "offensiva", mentre il cardinale statunitense Timothy Dolan, notoriamente vicino a Trump, ieri ha parlato di "brutta figura". Imbarazzo anche in Vaticano, dove la scelta di pubblicare quell’immagine non viene interpretata come una goliardata: è un gesto simbolico, muscolare, fatto nel momento in cui la Chiesa si prepara a eleggere un nuovo Papa.
E la questione non è ideologica, tantomeno teologica, bensì geopolitica. Trump non vuole un pontefice moralmente rigido o conservatore. Aspira a qualcosa di più profondo: un cambio di rotta. Francesco ha tracciato una traiettoria che guarda agli ultimi, a Est, alla Cina. Nell’enciclica Laudato si’ ha scritto: "Non ci sono due crisi separate, una ambientale e una sociale, ma una sola crisi socio-ambientale". E nella Fratelli tutti ha aggiunto: "I nazionalismi chiusi sono incapaci di pensare un mondo aperto". Ha cambiato la direzione di una Chiesa che fin dal Sacro Romano Impero aveva il suo ancoraggio secolare in Occidente. A questa virata Trump risponde col suo catechismo laico: "Drill, baby, drill", trivella, consuma, sfrutta. E poi: "America First", prima gli Stati Uniti. Alla fraternità oppone l’interesse nazionale. All’ecologia integrale, l’economia fossile. Vuole una Chiesa satellite, non universale. Funzionale al soft power della potenza egemone, come le chiese evangeliche nei sobborghi sudamericani: pulpiti politici, non profetici.
E allora, quando corre la voce di un malore improvviso del cardinale Pietro Parolin – il segretario di Stato vaticano che ha negoziato con Pechino, colui che ha riequilibrato la mappa verso Oriente – il sospetto serpeggia. Una fake news? Forse. Ma chirurgica. Serve ad azzopparlo, a toglierlo dal campo prima della conta. Perché Parolin è l’ultimo custode del disegno di Francesco.
L’anti-Papa non ha bisogno di un pontefice trumpiano. Vuole una Chiesa che smetta di essere frontiera per tornare avamposto dell’Occidente. Il 20 gennaio, nel suo discorso di insediamento, Trump ha scandito: "Dio mi ha salvato affinché io salvi il mondo". Oggi, quell’eco risuona come un programma. Una teologia del potere che tenta di infiltrare il sacro, usandone i simboli per piegarli alla propaganda. Il presidente del deal scherza con i fanti e pure con i santi. O forse non scherza.