Trump apre alla corsa ai minerali nei fondali del Pacifico, con il rischio di distruggere per sempre ecosistemi sconosciuti

Con un ordine esecutivo firmato il 24 aprile 2025, Donald Trump ha dato un’accelerata alla possibilità per le aziende statunitensi di avviare l’estrazione mineraria dai fondali oceanici, scatenando un’ondata di critiche da parte della comunità scientifica e delle organizzazioni ambientaliste. La misura, che affida alla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) il compito di snellire...

Apr 29, 2025 - 10:35
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Trump apre alla corsa ai minerali nei fondali del Pacifico, con il rischio di distruggere per sempre ecosistemi sconosciuti

Con un ordine esecutivo firmato il 24 aprile 2025, Donald Trump ha dato un’accelerata alla possibilità per le aziende statunitensi di avviare l’estrazione mineraria dai fondali oceanici, scatenando un’ondata di critiche da parte della comunità scientifica e delle organizzazioni ambientaliste.

La misura, che affida alla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) il compito di snellire e velocizzare i permessi per lo sfruttamento minerario in acque profonde, sia nazionali che internazionali, segna una svolta nella politica (anti)ambientale americana, con ripercussioni, però, su scala globale.

L’iniziativa mira a ridurre la dipendenza dagli approvvigionamenti cinesi di minerali strategici come nichel, cobalto e manganese, indispensabili per la produzione di batterie per veicoli elettrici, tecnologie avanzate e persino armamenti. Trump ha definito l’ordine come una mossa “per consolidare la leadership degli Stati Uniti nell’esplorazione e nello sviluppo minerario dei fondali marini”. Tuttavia, dietro queste parole si cela un allarme crescente da parte di scienziati e attivisti, che vedono nel provvedimento una minaccia per ecosistemi fragili e ancora in gran parte sconosciuti.

Ecosistemi abissali sotto attacco

La vita sul fondo dell’oceano è in gran parte ancora un mistero: creature bioluminescenti, microrganismi unici e processi geochimici ancora poco compresi rendono queste zone tra le più affascinanti e meno esplorate del Pianeta. I fondali oceanici sono anche fondamentali per l’equilibrio climatico globale, grazie alla loro capacità di immagazzinare carbonio e sostenere la catena alimentare marina.

La zona oceanica Clarion-Clipperton, una vasta area tra le Hawaii e il Messico, è al centro degli interessi delle compagnie minerarie: qui si trovano i cosiddetti noduli polimetallici, concrezioni sferiche che impiegano milioni di anni a formarsi, accumulando minerali preziosi intorno a nuclei formati, ad esempio, da denti di squalo. Questi noduli ospitano fino al 50% delle forme di vita conosciute delle pianure abissali. Raschiarli o aspirarli significherebbe distruggere habitat complessi e interconnessi, con conseguenze imprevedibili sull’intero ecosistema marino.

Come ha spiegato al New York Times, secondo Jeffrey Drazen, oceanografo dell’Università delle Hawaii, l’estrazione provocherebbe colonne di sedimenti in grado di soffocare spugne, crostacei e pesci filtratori, compromettendo la vita della biodiversità. I sedimenti potrebbero inoltre diffondersi per centinaia di chilometri, interferendo con la poca luce che penetra nelle profondità e minando la sopravvivenza di specie come i pesci lanterna o le rane pescatrici.

Critiche globali e richiesta di moratoria

La reazione all’ordine esecutivo non si è fatta attendere. Jeff Watters dell’Ocean Conservancy ha definito l’iniziativa “estremamente pericolosa”, sottolineando che l’impatto non si limiterà al fondale, ma coinvolgerà tutta la colonna d’acqua. Katie Matthews di Oceana è stata ancora più diretta: “L’avidità delle compagnie minerarie ha avuto la meglio sul buon senso. Accelerare in assenza di regole significa accelerare la distruzione degli oceani”.

Nonostante la creazione negli anni ’90 dell’Autorità Internazionale per i Fondali Marini (ISA), un organismo affiliato alle Nazioni Unite per regolamentare l’estrazione mineraria in acque internazionali, gli Stati Uniti non vi hanno mai aderito formalmente. Ora l’amministrazione Trump punta a bypassare questo quadro normativo, affidandosi invece alla NOAA e alla legge nazionale.

Le promesse (e le ambiguità) dell’industria mineraria

Le compagnie coinvolte, come la canadese Metals Company e l’americana Impossible Metals, affermano di voler agire in modo responsabile. Utilizzo dell’intelligenza artificiale, robot sottomarini selettivi e decenni di ricerca ambientale sono gli strumenti evocati per rassicurare l’opinione pubblica. Tuttavia, i test condotti finora, seppur preziosi, non sono sufficienti per prevedere gli effetti su larga scala.

La Metals Company ha recentemente annunciato la richiesta di permessi alla NOAA per aggirare l’ISA, suscitando ulteriori preoccupazioni. “Non stiamo cercando scorciatoie”, ha dichiarato il CEO Gerard Barron, affermando di aver completato studi ambientali dettagliati. Ma la comunità scientifica resta scettica.

Secondo Lisa Levin, oceanografa alla Scripps Institution, non sappiamo nemmeno se le specie presenti sui noduli possano ricostituirsi una volta distrutto l’habitat. “È una grande incognita”, ha detto. E senza certezze, ogni intervento potrebbe trasformarsi in un danno irreversibile.

Assheton Stewart Carter, della società TDi Sustainability, ha sollevato un punto cruciale: il dilemma tra la necessità di risorse minerarie per la transizione ecologica e la tutela degli ecosistemi. “Dobbiamo fare scelte difficili, ma ignorare le precauzioni equivale a rischiare il collasso ambientale”.

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