Siria e Cisgiordania: la nuova strategia di Israele ridisegna la geografia della sicurezza
Negli ultimi giorni, la Siria ha assistito a sviluppi straordinari, con Israele che ha adottato un nuovo approccio che va oltre le tradizionali disposizioni di sicurezza nelle regioni di confine. Questo cambiamento segnala profonde trasformazioni strategiche all’orizzonte. Dopo gli eventi del 7 ottobre, Israele ha adottato quella che può essere definita una strategia di “ridisegno […] L'articolo Siria e Cisgiordania: la nuova strategia di Israele ridisegna la geografia della sicurezza proviene da Il Fatto Quotidiano.

Negli ultimi giorni, la Siria ha assistito a sviluppi straordinari, con Israele che ha adottato un nuovo approccio che va oltre le tradizionali disposizioni di sicurezza nelle regioni di confine. Questo cambiamento segnala profonde trasformazioni strategiche all’orizzonte.
Dopo gli eventi del 7 ottobre, Israele ha adottato quella che può essere definita una strategia di “ridisegno della geografia della sicurezza”. Al centro di questa strategia vi è lo smantellamento delle linee del fronte geografiche ai confini israeliani, in risposta alla dottrina iraniana della “Unità dei Fronti”, perseguita da Teheran negli ultimi anni. Ciò spiega le mosse dirette di Israele nel rimodellare la geografia circostante a ogni escalation del conflitto.
Nelle ultime settimane, Israele ha modificato la realtà geografica della Siria con il pretesto delle necessità di sicurezza, controllando aree come il Monte Hermon e le Alture del Golan e colpendo le infrastrutture militari siriane per impedirne un futuro utilizzo militare.
Tuttavia, le recenti dichiarazioni del primo ministro Benjamin Netanyahu vanno oltre il semplice controllo geografico. Ha affermato che Israele non si ritirerà dalle zone cuscinetto e ha insistito sulla smilitarizzazione del sud della Siria, rifiutando la presenza di qualsiasi gruppo armato nelle province di Daraa, Suwayda, Quneitra e nelle Alture del Golan, fino alle aree a sud di Damasco e delle sue periferie.
Un altro sviluppo significativo è il riferimento di Netanyahu alla comunità drusa in Siria e il suo avvertimento a Damasco contro qualsiasi minaccia alla popolazione drusa nel sud del Paese. Ciò suggerisce un coinvolgimento israeliano più profondo in Siria, che passa dal semplice ridisegno della mappa geografica alla ridefinizione del panorama politico siriano.
Questa evoluzione riapre completamente il percorso politico della Siria. Ahmad al-Shar’a, noto come “al-Jolani”, che sta cercando di affermarsi come leader della Siria navigando tra le dinamiche arabe e regionali, si trova ora di fronte a una sfida senza precedenti. La sua autorità è messa alla prova in un momento cruciale, mentre cerca di consolidare il suo controllo sulle componenti politiche e geografiche del Paese.
Nel frattempo, il suo riconoscimento internazionale rimane incerto, con gli sforzi per revocare le sanzioni o ottenere credibilità politica ancora bloccati, soprattutto in un contesto di crescenti tendenze separatiste tra le varie fazioni siriane. D’altra parte, la posizione degli Stati Uniti appare poco chiara, sebbene sembri meno incline a seguire completamente l’approccio della precedente amministrazione americana.
Le opzioni di al-Shar’a si stanno riducendo, soprattutto perché l’amministrazione Trump è strettamente allineata con le politiche israeliane, lasciando Washington con il controllo della questione delle sanzioni. Questo scenario suggerisce che il margine di manovra della nuova leadership siriana potrebbe essere estremamente limitato, rendendo inevitabile l’accettazione della realtà emergente. Le mosse strategiche di Israele arrivano in un momento in cui gli equilibri di potere regionali stanno cambiando, con un arretramento dell’Iran a seguito delle difficoltà dei suoi network di proxy e dell’assenza di alleanze regionali forti, inclusa la Turchia.
In questo contesto, adattarsi alla nuova realtà sembra essere l’unica strada percorribile per al-Jolani. Raggiungere un’intesa con le fazioni siriane, accettare modelli di autonomia e allinearsi alle preferenze statunitensi potrebbero spingerlo verso una normalizzazione con Israele. A lungo termine, ciò potrebbe tradursi nella ricerca di un accordo di pace e in una possibile integrazione negli Accordi di Abramo, come mezzo per ottenere l’accettazione di Washington, la legittimità internazionale e, infine, la revoca delle sanzioni sulla “Nuova Siria”.
L’escalation regionale non si limita alla sola Siria. La Cisgiordania sta vivendo sviluppi senza precedenti, con cambiamenti sul campo che accelerano, tra cui lo smantellamento dei campi profughi e lo sfollamento forzato della popolazione. Si intensificano anche gli sforzi per isolare Gerusalemme dalla Cisgiordania e consolidare il controllo sulla città. Nel frattempo, i ritardi nell’attuazione della seconda fase dell’accordo su Gaza potrebbero innescare un’ulteriore escalation. Tuttavia, la preoccupazione più ampia è che il conflitto non riguardi più solo obiettivi militari; è entrato in una nuova fase in cui le giustificazioni di sicurezza vengono utilizzate per imporre realtà politiche e ridefinire il futuro della regione.
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