Sfidare i nuovi dazi… aprendo l’ombrello

Le imprese “vulnerabili” ad un calo della domanda Usa sono oltre 20.000, per un peso sull’export del 16,5% con 430mila addetti. Ecco come potranno difendersi L'articolo Sfidare i nuovi dazi… aprendo l’ombrello proviene da Economy Magazine.

Apr 8, 2025 - 08:40
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Sfidare i nuovi dazi… aprendo l’ombrello

Sembra proprio che ad aprile arriverà la doccia fredda dei nuovi dazi Usa all’importazione. Pensare che il problema si risolverà con una negoziazione con gli emissari di Trump è avventuroso: sono troppi gli indizi che la nuova amministrazione Usa vuole prendere a schiaffi l’Europa. Il perché vero, purtroppo, non è dato di conoscere.

Le imprese “vulnerabili” ad un potenziale calo della domanda causa dazi Usa all’import sono state stimate dall’Istat in oltre 20.000, per un peso sull’export del 16,5% e per un totale di 430.000 addetti. A queste si aggiungono, probabilmente per cifre inferiori, le aziende che vedranno i propri costi lievitare se, con i futuri dazi all’import imposti dall’Europa, sono tributarie per i propri acquisti di materie prime o semilavorati delle importazioni dagli Usa.

Che poi tutta la manovra promessa dalla nuova amministrazione Usa abbia un risvolto positivo per l’economia Usa stessa è un qualcosa di assai dubbio: il Paese è già a piena occupazione, ha già in essere una dinamica di crescita dell’economia assai superiore a molti altri Paesi, si appresta manu militari a sbarazzarsi di milioni di immigrati, ha già in essere potenti incentivi a creare capacità produttive nel proprio territorio (semiconduttori, AI, pannelli solari, veicoli elettrici, etc.). Non si capisce perché voglia a tutti i costi sviluppare una inflazione da domanda incentivando, con i dazi, la crescita dei prezzi all’import e/o la crescita della domanda di lavoro, quest’ultima perché la capacità produttiva si sposta negli Usa. Il tutto sembra una buona ricetta per creare inflazione interna. La quale, si noti, attiva un intervento della Fed sui tassi, con un rafforzamento del dollaro che rischia di annullare l’effetto stesso dei dazi. Non tocca però a noi che viviamo nella bistrattata Europa dare consigli a chi non vuol sentire.

Nell’export i settori più colpiti sono ovviamente quelli dove l’esportazione pesa di più e l’elasticità della domanda rispetto al prezzo è più alta. Vengono in mente, ad esempio, i settori dei generi alimentari, dei mobili, dei prodotti in metallo, del materiale elettrico, dei tessili di fascia bassa. Come in una partita di biliardo, qualche brutto colpo ci può arrivare per via indiretta, attraverso un calo della domanda tedesca indotto dalle nuove tariffe Usa. Viene in mente, subito, la componentistica automotive e, nuovamente, i prodotti in metallo. Purtroppo, però, i settori colpiti non saranno pochi.

Le aziende potenzialmente più colpite dovranno risolvere la questione base: costruire capacità produttiva negli Usa oppure rivolgere le esportazioni verso altri Paesi sostituendo così la domanda americana, oppure ancora mettersi in difesa in attesa di tempi migliori?

Escludendo la mossa di mettersi in difesa, se non altro perché la crisi dei rapporti Usa – Europa potrebbe ancora peggiorare, è chiaro che non tutte le imprese “colpite” possono pensare di costruire capacità produttive negli Usa: è un territorio difficile, richiede risorse finanziarie, richiede management di qualità. Solo le imprese migliori e con una certa dimensione possono percorrere questa opzione. Le altre dovranno fare di necessità virtù e vanno ad ingrossare le fila delle aziende in potenziale sofferenza.

L’altra grande alternativa è sviluppare nuova domanda estera da altri Paesi. Questa è una corsa contro il tempo, in aggiunta ad essere già difficile di per sé. Qui occorre management di qualità, forte presenza di export managers, forte frequentazione di fiere di settore, probabilmente anche una iniezione di equity se la situazione di partenza non è ottimale. Se la transizione alle generazioni più giovani non promette bene, occorre aprire a managers esterni. Il “lean and mean” deve dominare in azienda: i suoi frutti vanno tutti a sostenere lo sviluppo dei mercati esteri alternativi.

La speranza è che Simest allarghi ancora, più di oggi, la propria operatività: ha funzionato bene in passato, oggi è doveroso fornirle risorse in abbondanza. Costa meno investire su Simest che gestire, dopo, Cig, Cigs e insolvenze in grande quantità.

Già, le insolvenze. Stanno, purtroppo, ritornando. Le insolvenze aziendali globali in Italia nel 2024 sono in aumento del 40%. Per il 2025 si stima un ulteriore aumento del 17%, soprattutto nei settori costruzioni, servizi ed agrifood. Come sempre, Lombardia, Veneto e Lazio fanno la parte del leone. In questo quadro di partenza già complesso occorre correre. Quindi, semmai vi fosse la necessità di ricordarlo, occorre una fortissima presenza dell’aiuto di Simest per trovare ossigeno sui nuovi mercati e buon management. Ma non solo: occorre che le aziende aumentino il numero di banche affidanti con le quali lavorano. E questo fin da subito, quando i conti sono ancora buoni. Il perché è noto a tutti. Le banche tendono ad offrire gli ombrelli quando c’è il sole. E a ritirarli quando piove. Meglio avere tanti ombrelli nella situazione di partenza attuale.

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