Hugo Chavez ebbe un’idea che può funzionare per l’Ucraina
di Baldo Sansò* Nell’anno 2003, il presidente del Venezuela Hugo Chávez si trova in una situazione politica ed economica molto complicata. Ha appena superato uno sciopero petrolifero che cercava di deporlo dalla presidenza. Una specie di coup d’état “petrolifero” durato due mesi, che ha prodotto nei primi tre mesi del 2003 una caduta del Pil […] L'articolo Hugo Chavez ebbe un’idea che può funzionare per l’Ucraina proviene da Economy Magazine.

di Baldo Sansò*
Nell’anno 2003, il presidente del Venezuela Hugo Chávez si trova in una situazione politica ed economica molto complicata. Ha appena superato uno sciopero petrolifero che cercava di deporlo dalla presidenza. Una specie di coup d’état “petrolifero” durato due mesi, che ha prodotto nei primi tre mesi del 2003 una caduta del Pil di 27 punti (meno 9 in totale alla fine dell’anno). Il suo capitale politico inizia a vacillare e le forze di opposizione propongono un referendum revocatorio contro di lui; perdendolo, Chávez dovrebbe lasciare la presidenza.
Capisce subito che deve incrementare la produzione di petrolio, non solo per riprendere nell’immediato l’attività economica del paese, ma anche per poter finanziare la sua Rivoluzione Bolivariana nel medio e lungo termine. Ma come farlo con una PDVSA (la compagnia petrolifera statale venezuelana) svuotata di talento (più di 16 mila lavoratori sono stati licenziati come conseguenza dello sciopero), senza le nuove tecnologie (più che la fratturazione idraulica o “Fracking” che iniziava in quegli anni, mancavano le perforazioni orizzontali che facevano la differenza già dagli anni ‘90), con pochissimi soldi e una forte sfiducia da parte dei mercati?
La soluzione più semplice sarebbe stata quella di assegnare concessioni di produzione vecchio stampo alle grosse società petrolifere globali. Ma il discorso rivoluzionario di Chavez non combaciava con l’idea di tornare al “colonialismo petrolifero”: puntava soprattutto sull’autonomia e su quello che lui chiamava la “sovranità petrolifera”.
Hugo Chavez e le Joint Ventures
È cosi che, ispirato dalla nuova legge di idrocarburi da lui promossa nel 1999, si affida alla figura delle “Joint Ventures” che permettevano la creazione di imprese fra i privati e lo Stato per la produzione di petrolio, sempre che lo Stato rimanesse con una maggioranza azionaria. Ma per quel che riguarda la capacita operativa e il management, le società private non dovevano essere in minoranza. In questo modo, oltre ai capitali e le tecnologie, si cercava una condivisione della knowledge che permettesse al personale della PDVSA di assorbire questi insegnamenti e informazioni.
Sono nate cosi 31 Joint Ventures, che inizialmente hanno affrontato delle difficoltà, soprattutto per colpa del Governo che ha provato a spremerne al massimo la liquidita, lasciandole con poca capacita di investire. Personalmente, nel mio ruolo di consulente, ho avuto l’opportunità di intervenire per correggere la struttura di finanziamento della Joint Venture fra la PDVSA e la multinazionale petrolifera americana Chevron. Abbiamo stabilito un meccanismo che, nonostante la crisi economica e politica del Venezuela sotto il governo di Nicolas Maduro e l’animosità reciproca fra il suo governo e quello degli Stati Uniti, ancora oggi regge e crea valore tanto per il Venezuela quanto per la Chevron e i suoi azionisti.
Terre Rare, una partita fondamentale per l’Ucraina
Qualche settimana fa il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, è stato maltrattato da Trump e dal suo vice Vance in una riunione allo studio ovale davanti ai giornalisti, in diretta tv. La scena, e le mosse successive dell’amministrazione americana, hanno confermato il sospetto che la volontà del Governo USA sia quella di sacrificare l’Ucraina in funzione di un accordo più globale con la Russia, che provi a far desistere quest’ultima dal suo avvicinamento con la Cina, che viene vista come la vera minaccia per l’egemonia americana. Nel protocollo della visita di Zelensky alla Casa Bianca, era prevista la firma in giornata di un accordo quadro per la creazione di un fondo per lo sviluppo delle “Terre Rare”, che invece visto l’esito burrascoso del vertice è saltato.
Dopo lo scontro nello Studio Ovale, l’accordo sulle Terre Rare non è ancora stato firmato: l’Ucraina dovrebbe inviare una squadra a Washington questa settimana per iniziare i negoziati su una nuova bozza. L’accordo diventa ancora più fondamentale per l’Ucraina: gli interessi delle aziende americane che farebbero business nei territori ucraini delle terre rare sarebbero forse la miglior garanzia di coinvolgimento degli Stati Uniti in difesa della sovranità ucraina nel medio e lungo periodo.
Ma questo accordo non sarebbe privo di pericoli per Zelensky. Da una parte il suo capitale politico (proprio come quello di Chávez nel 2003) vacilla. Se oltre a non garantire le condizioni per la pace che la sua retorica ha inculcato nel popolo ucraino, dovesse addirittura consegnare il “tesoro” delle Terre Rare al partner traditore, non solo il suo futuro politico sarebbe segnato, ma allo stesso tempo gli americani rischierebbero (dopo aver speso più di 300 miliardi in sostegno alla guerra) di mettersi contro il popolo ucraino.
Imprese miste Stato – privati, un modello applicabile alle terre rare ucraine
Ma questo “tesoro” è veramente tale? In realtà ad oggi il costo di estrazione di questi materiali è troppo alto, e questo spiega perché non sono ancora in produzione. Allo stesso modo, proprio come a Chavez nel 2003 servivano il capitale e la tecnologia per incrementare la produzione petrolifera, al popolo ucraino serviranno le competenze, i soldi e la tecnologia delle grandi società minerarie internazionali se vorranno un giorno poter sfruttare queste risorse.
La proposta non firmata da Zelensky e Trump lo scorso 28 febbraio, era un accordo con linee generali che confermava la volontà dei due paesi di sviluppare queste risorse. Avrebbe fatto comodo agli ucraini, ma non sarebbe stato sufficiente per rafforzare l’appetito dei gruppi d’interesse che dovrebbero fare lobby in favore dell’Ucraina davanti a Trump.
Proporre un modello di Joint Ventures, simile a quello usato da Chavez all’inizio degli anni 2000, diventerebbe un’iniziativa molto più concreta e quindi credibile per le società interessate; questo innesterebbe dinamiche utili a convincere Trump a rimanere in Ucraina nel nome dell’interesse nazionale americano.
Zelensky da parte sua dimostrerebbe agli americani che sulle terre rare fa sul serio; e davanti al suo popolo potrebbe giustificare l’accordo spiegando che si tratta del miglior meccanismo per attrarre investimenti esteri, creando valore per lo Stato e la nazione tutta, in un’attività che altrimenti difficilmente sarebbe mai stata sviluppata dagli ucraini.
* ex consulente Bain
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