‘Sarajevo. Una mappa della città’: un atto d’amore e memoria per una città ferita ma sempre viva
“Va ricordato che fortunatamente in quella Sarajevo c’erano anche persone diverse, dei generosi cultori della memoria, che percependo questa città come uno spazio di condivisione, quasi fosse il soggiorno di casa loro, non smettevano di sistemarla e aggiustarla, nonostante i danni causati dai diversi periodi storici”. Sarajevo. Una mappa della città, di Miljenko Jergović (traduzione […] L'articolo ‘Sarajevo. Una mappa della città’: un atto d’amore e memoria per una città ferita ma sempre viva proviene da Il Fatto Quotidiano.

“Va ricordato che fortunatamente in quella Sarajevo c’erano anche persone diverse, dei generosi cultori della memoria, che percependo questa città come uno spazio di condivisione, quasi fosse il soggiorno di casa loro, non smettevano di sistemarla e aggiustarla, nonostante i danni causati dai diversi periodi storici”.
Sarajevo. Una mappa della città, di Miljenko Jergović (traduzione di Estera Miočić; Keller Editore), è un libro intenso e commovente, un vero e proprio atto d’amore e di memoria per una città ferita, ma sempre viva. Come fatto da Orhan Pamuk per Istanbul, Philip Roth per New York, Thomas Mann per Venezia (e rimanendo a Sarajevo non si può non citare Sarajevo: Survival Guide, progetto culturale del gruppo di artisti bosniaci FAMA che tra l’aprile del 1992 e l’aprile del 1993, durante l’assedio, sotto il fuoco di granate e cecchini, in condizioni impossibili per vivere e lavorare, creò una versione di Michelin per accompagnare i visitatori attraverso la città e istruirli su come sopravvivere senza trasporti, alberghi, taxi, telefoni, cibo, negozi, riscaldamento, acqua, informazioni, elettricità), anche Sarajevo. Una mappa della città trasforma in protagonista assoluto l’ambiente nel quale vengono narrate le gesta (umane e materiali).
“Non ci hai mai pensato in tutti questi anni zagabresi e nemmeno prima, durante la guerra, e ancora prima, quando si poteva ancora andare a San Michele e vedere se la sua tomba era ancora lì. Innumerevoli volte sei passato lungo via Kralja Tomislava, vicino al secondo liceo, e più avanti, su per Koševo, senza entrare nel cimitero e vedere se c’era. Ci sarà una ragione, un motivo per cui qualche giorno fa mi sono ricordato di lei, un attimo prima di dimenticarla per sempre. Lei e tutti i sei o sette romanzi che potevano essere scritti su di lei, compreso questo, che si svolgerebbe interamente al cimitero di San Michele”.
Il narratore del libro cammina per le strade e le piazze della capitale bosniaca, ricordando la sua infanzia, la sua famiglia, i vecchi amici, le storie di personaggi di cui ha sentito parlare e che sono diventati leggende metropolitane. Jergović non ci offre una guida turistica tradizionale di Sarajevo, ma una mappa emotiva e stratificata, fatta di rimembranze personali, aneddoti familiari, storie di quartiere e riflessioni sulla storia recente e passata della città. Attraverso una miriade di voci e prospettive, l’autore compone un ritratto vivido e complesso di Sarajevo, un luogo segnato dalla guerra, ma ricco di un’identità multiculturale unica e resistente, nonostante tutto.
“Quando a Sarajevo le cose cambiarono e poteva chiamarsi Mišo solo chi era così registrato all’anagrafe, lui si rifiutò. Soltanto una volta nella vita è possibile e necessario adattarsi alle circostanze. La seconda volta si diventa volubili e inconsistenti, spregiudicati, opportunisti e voltafaccia. E lui non era niente di tutto questo. Dicono che fosse un lustrascarpe. L’ultimo a Sarajevo. Teneva il banco davanti al McDonalds, dove ai tuoi tempi c’era il self-service Bosna”.
Il libro descrive contemporaneamente diverse Sarajevo: c’è quella ottomana, quella austro-ungarica, quella del Regno di Jugoslavia, quella dell’era di Tito e quella prima e dopo la guerra degli anni Novanta. Un testo frammentato, una scrittura-fiume, in cui ogni capitolo si trasforma in strada o piazza, o in un edificio carico di simbolismi personali e collettivi, tracciato con uno stile potente e evocativo, ricco di dettagli sensoriali, capace di farci sentire i profumi, i suoni e le atmosfere di Sarajevo e dove il ruolo della memoria diventa fondamentale per comprendere il presente e per poter costruire il futuro, urbanistico e no, della città.
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