Fisco, la Ue cerca un compromesso con gli Usa. Ma rischia di svendere la tassa minima globale sulle multinazionali
L’Unione europea prova a salvare l’accordo sulla tassazione globale delle multinazionali che Donald Trump ha rinnegato poche ore dopo l’insediamento alla Casa Bianca. Per farlo, la Polonia che ha la presidenza di turno del Consiglio Ue ipotizza in un documento riservato tre possibili vie di uscita negoziali. In tutti i casi, il Vecchio continente offrirebbe […] L'articolo Fisco, la Ue cerca un compromesso con gli Usa. Ma rischia di svendere la tassa minima globale sulle multinazionali proviene da Il Fatto Quotidiano.

L’Unione europea prova a salvare l’accordo sulla tassazione globale delle multinazionali che Donald Trump ha rinnegato poche ore dopo l’insediamento alla Casa Bianca. Per farlo, la Polonia che ha la presidenza di turno del Consiglio Ue ipotizza in un documento riservato tre possibili vie di uscita negoziali. In tutti i casi, il Vecchio continente offrirebbe agli Usa concessioni che rischiano di minare l’intero impianto della riforma. Solo come ultima spiaggia il paper, intitolato Global tax deal – A way forward, cita l’opzione di andare avanti dritti con l’applicazione dell’aliquota minima del 15% sui profitti delle grandi aziende con oltre 750 milioni di fatturato nel mondo, rischiando così le ritorsioni di Washington. “Possibili cedimenti dell’Unione, su tutti il paventato annacquamento o la disapplicazione delle norme sulla tassazione minima suppletiva, rischiano di minare alla radice l’efficacia della global minimum tax e di disincentivare altre giurisdizioni ad applicarla”, commenta Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale di Oxfam Italia. “Una prospettiva – da scongiurare – che riporterebbe il contrasto alla corsa globale al ribasso in materia di fisco societario di parecchi anni indietro”.
Un passo indietro. In discussione c’è il cosiddetto “secondo pilastro” della riforma della tassazione delle multinazionali, concordata in sede Ocse per tentare di mettere un freno alla concorrenza fiscale al ribasso tra governi interessati ad attirare sul proprio territorio le sedi dei colossi tech e non solo. Il compromesso finale raggiunto da 138 Paesi nel 2021, e applicato a partire dal 2024 nella Ue e nel Regno Unito oltre che in Giappone e Corea, prevede la possibilità per ogni Stato in cui l’impresa opera e ha attività significative di recuperare la differenza tra il 15% e l’imposizione effettiva a cui è soggetta l’impresa. Secondo il presidente la norma (Undertaxed profit rule, Imposta minima suppletiva) è discriminatoria e rappresenta un attacco agli interessi di Washington e delle sue corporation: per questo in un memorandum firmato il 20 gennaio ha disposto che “non abbia effetto negli Stati Uniti”.
Nonostante questo, si legge nel paper della presidenza svelato nei giorni scorsi da Politico, il Tesoro Usa ha continuato a negoziare per trovare una soluzione “che rispetti la sovranità Usa e consenta al secondo pilastro di convivere con le regole domestiche”. In particolare il regime Gilti (Global intangible low-taxed income) introdotto nel 2017 dalla riforma fiscale della prima presidenza Trump, che dispone l’applicazione di un’aliquota molto ridotta, sotto il 15%, sui profitti esteri superiori a una soglia di rendimento normale e al momento non è compatibile con le regole internazionali contro l’erosione di base imponibile. Dai colloqui informali sono emersi però problemi ulteriori: oltre alla “Imposta minima suppletiva”, gli Usa contestano anche la “Income inclusion rule” (Iir), altro meccanismo previsto per far rispettare la Global minimum tax, che impone alla casa madre di versare una tassa integrativa se le sue controllate in ogni singolo Paese non versano almeno il 15%.
Come uscirne? Il documento delinea tre possibili scenari: il primo vedrebbe la Ue riconoscere molti crediti di imposta statunitensi che al momento non rilevano per ottenere sconti ai fini del calcolo dell’aliquota effettiva: una concessione che risponderebbe alle contestazioni Usa mantenendo in piedi la cooperazione fiscale internazionale, ma potrebbe “creare scappatoie che indebolirebbero il sistema GloBE” per la lotta all’erosione della base imponibile.
Il secondo scenario va oltre e prevede la limitazione dell’applicazione dell’imposta minima suppletiva, magari prorogando la clausola di salvaguardia che al momento “salva” fino a fine 2026 le imprese Usa. Problema: questo eliminerebbe ogni incentivo ad adottare il sistema GloBE per le giurisdizioni che ancora non l’hanno fatto e svantaggerebbe le multinazionali con sede in Ue. Il terzo scenario è una resa vera e propria: la Ue riconoscerebbe il regime Gilti degli Usa come equivalente alla Income inclusion rule, anche se non ha le caratteristiche richieste. Per farlo occorrerebbe quindi modificare le regole europee, riducendone l’efficacia, o chiedere al Congresso Usa di riformare il Gilti, ipotesi che appare politicamente fuori portata.
La presidenza Ue chiede ai governi di dire la loro e proporre ulteriori opzioni, se ne hanno. “Tenendo a mente”, si legge nella conclusione, che “gli Usa potrebbero rifiutarsi di applicare la “regola dei profitti sottotassati”, che è un elemento essenziale del sistema”. A quel punto sarebbero gli altri Paesi aderenti all’accordo a dover battere cassa chiedendo alle multinazionali di versare le imposte non pagate negli Usa. Ma questo aprirebbe un nuovo fronte nella guerra commerciale transatlantica scatenata da Trump, proprio mentre Bruxelles cerca affannosamente di convincere l’amministrazione a revocare i dazi reciproci. Insomma: la strada per uscirne senza danni è strettissima. I Ventisette dovranno decidere se difendere il pur debole compromesso raggiunto nel 2021 o piegarsi alla Realpolitik imposta dal tycoon, vanificando l’obiettivo di ridurre il trasferimento di utili verso giurisdizioni a bassa imposizione per ridurre il carico fiscale.
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