Saluto nazista ad Auschwitz, l’esperta: “Non basta punire. Ai ragazzi servono educazione e ascolto”

Dopo il gesto shock del 14enne, parla la pedagogista Alessandra Lodetti: “Non è solo ignoranza, ma anche bisogno di visibilità. Famiglia e scuola devono tornare a essere punti di riferimento veri”

Mag 3, 2025 - 13:29
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Saluto nazista ad Auschwitz, l’esperta: “Non basta punire. Ai ragazzi servono educazione e ascolto”

Firenze, 3 maggio 2025 - Il gesto di un 14enne fiorentino che, durante una visita scolastica ad Auschwitz, ha fatto il saluto romano, ha scatenato un’ondata di indignazione e interrogativi. È un episodio isolato o un campanello d’allarme? Come si può arrivare a banalizzare un luogo di memoria così carico di significato? Abbiamo chiesto un parere alla pedagogista Alessandra Lodetti, da anni impegnata in percorsi educativi con bambini, ragazzi e famiglie.

Secondo lei, cosa può spingere un ragazzo di 14 anni a compiere un gesto come il saluto nazista proprio ad Auschwitz?

“Con rammarico, di fronte ad un un gesto così provocatorio posso solo ipotizzare alcune motivazioni, non conoscendo direttamente il ragazzo. Potrebbe trattarsi di una scarsissima consapevolezza della storia, inclusa quella che ha toccato i suoi stessi bisnonni. Potrebbe esserci una mancanza di attenzione verso i temi sociali e di empatia. Oppure, semplicemente, un desiderio di attirare l’attenzione del gruppo dei pari, per emergere e sentirsi ‘visto”.

Quanto conta la famiglia, e quanto la scuola, nella formazione della coscienza civica e storica di un adolescente?

“Sono entrambe fondamentali. La famiglia è il primo riferimento nella crescita, ma spesso, in adolescenza, è il gruppo amicale a diventare predominante. Per questo è essenziale che la famiglia ritagli momenti di ascolto e confronto, anche attraverso gesti semplici. Solo così si crea fiducia reciproca e l’educazione diventa davvero significativa. Anche la scuola dovrebbe tornare ad avere un ruolo centrale come agente educativo. Soprattutto nella secondaria di secondo grado, dovrebbe proporre esperienze significative e non limitarsi ai testi scolastici. L’educazione civica deve partire da esperienze concrete: il contatto con i fragili, con la disabilità, con la diversità. Solo così si può costruire una cittadinanza consapevole”.

Che ruolo hanno oggi i social, l’ironia estrema e certi linguaggi online nel banalizzare simboli e ideologie che dovrebbero essere rigettati?

“I social sono ovunque e non si fermano mai, non possiamo più “gestirli” nel senso tradizionale. Ma se l’adolescente è educato al pensiero critico, se in famiglia e a scuola si costruisce un dialogo autentico, allora certi “influencer” perderanno potere. La prevenzione passa anche da qui”.

La giustizia polacca ha scelto di chiudere il caso con un semplice “avvertimento”. Le sembra una risposta adeguata dal punto di vista educativo?

“Parliamo di un adolescente in crescita. Mi auguro che abbia già avuto modo di riflettere sul suo gesto insieme alla famiglia. Se davvero ha preso consapevolezza, allora il provvedimento può bastare”.

Secondo lei, il gesto di questo ragazzo è un caso isolato o il sintomo di una sottovalutazione più ampia dei rischi di rigurgiti ideologici?

“Spero che i suoi coetanei possano cogliere questo gesto come spunto per riflettere. Il sistema scolastico dovrebbe sostenere questa riflessione. Io credo molto nelle nuove generazioni, ma le vedo anche molto fragili. Tocca a noi adulti accompagnarle nella crescita”.

Cosa possiamo fare, concretamente, per prevenire atteggiamenti simili tra i giovani?

“Creare occasioni, a casa e a scuola, per confrontarsi davvero. Non limitarsi a chiedere “Hai fatto i compiti?”, ma anche “Tu cosa ne pensi?”, “Come ti senti rispetto a quello che sta succedendo nel mondo?”. Dobbiamo educare i ragazzi a porsi domande e aiutarli a cercare risposte proprie. Passare tempo con loro in modo costruttivo e non giudicante, insegnare a gestire le frustrazioni, a rialzarsi dopo una caduta, a riconoscere i propri successi. Se torniamo a investire tempo nella loro crescita, avremo una società più solida e più umana”.