Rocco Hunt e il ‘Ragazzo di giù’: la storia di un orgoglio napoletano che conquista l’Italia
Dal reggaeton a Sanremo, il coraggio di essere se stesso

“Quella che anni fa poteva essere considerata anche un’offesa, oggi è diventata un modo di dire cool, un motivo d’orgoglio, come pure un certo utilizzo del dialetto” racconta Rocco Hunt nello studio di “Soundcheck”, il format musicale del nostro giornale disponibile sui social e sul sito web, a proposito della scelta d’intitolare il suo sesto album “Ragazzo di giù”. E lo fa ricordando pure che il suo primo treno in orario per il Nord l'ha preso nel 2014, a diciannove anni, centrando con "Nu juorno buono" la vittoria fra le Nuove Proposte del Festival di Sanremo. “In questo album parlo per me, che sono salernitano, ma perso che si debba essere orgogliosi delle proprie radici da ovunque si venga”.
Non a caso ha scelto di presentarlo all’ex deposito bagagli della Stazione Centrale di Milano
“Il luogo-simbolo per eccellenza del ragazzo di giù. Il posto in cui leggere il proprio futuro sul tabellone degli arrivi e delle partenze”.
Alcuni, come Geolier, dicono che non riuscirebbero a scrivere fuori dal proprio contesto, mentre altri, come lei hanno costruito la propria carriera altrove
“Nel mio caso è dipeso dal momento storico. Quasi quindici anni fa in Campania c’era una situazione culturale, musicale, abbastanza diversa da quella di oggi. Per me, che ormai ho passato quasi metà della mia vita lontano da casa, trapiantarmi a Milano è stata un’esigenza dettata dal desiderio di raggiungere i risultati che avevo in mente”.
E oggi?
“Grazie anche ai sacrifici fatti da noi che abbiamo lasciato casa per trasferirci, la situazione s’è quasi invertita. Ma i legami coi luoghi e le persone me li tengo ben stretti, tant’è che giù ho fondato un mio studio di registrazione e torno spesso dalla mia famiglia dalle mie amicizie perché è lì che trovo le energie di cui ho bisogno”.
"Tieni questo accento milanese, ma non sai quanto m'è costato" dice a suo figlio Giovanni in una canzone
“La mia realizzazione di persona la vedo anche nel futuro che sto dando alla mia famiglia. Oggi trasporti e web riescono ad abbattere le distanze, dando alla nostalgia una valenza diversa rispetto ad un tempo. Ma il senso della lontananza rimane”.
Sentimento che affiora pure dall’ultimo singolo “Giura” con Gigi D’Alessio
“Per me ‘zio’ Gigi è un emblema, l’esempio del ragazzo di giù che ce l’ha fatta. Cinque anni fa avevo trovato posto con una nuova versione di ‘Chiove’ in ‘Buongiorno’, il suo album con i protagonisti vecchi e nuovi della scena rap, ma lui non ancora in uno mio. Ora siamo pari. Penso che tutti i ragazzi dei quartieri siano cresciuti con in testa almeno un suo pezzo”.
Perché nel mondo del rap c’è la tendenza a diventare pop sul palco di Sanremo?
“Perché sai davanti a chi stai cantando e capisci che una canzone rap, per motivi di genere, non arriverebbe a tutti. Quindi la devi contaminare come avveniva negli anni Novanta oltre oceano, dove le strofe venivano amalgamate con dei ritornelli r&b o pop. Scelta che capisco perché se uno va al Festival lo fa anche per allargare il suo pubblico. A me è capitato in anni ed anni di tormentoni estivi che mi hanno portato anche lontano dalla mia zona comfort facendomi cantare su ritmi reggaeton, bachata, merengue. Così, dopo aver sperimentato altrove, all’Ariston ho pensato di fare il percorso inverso rispetto a quello di alcuni colleghi propormi esattamente per quel che sono”.
I tanti tasselli di una carriera che il 6 ottobre le regala in suo primo Forum di Assago
“Un palco che ti gela il sangue al pensiero di quanta storia c’è passata. Prima di arrivarci, però ci sono un tour estivo e un altro bellissimo evento alla Reggia di Caserta”.
Cover ne farà?
“Con Clementino (storicamente, il primo a credere in me) ci portiamo sulle spalle la responsabilità di una rivisitazione di ‘Yes I know my way’ che è stata molto impattante sul palco di Sanremo e che sicuramente porteremo pure in tour. Abbiamo ricevuto i complimenti pure della famiglia di Pino Daniele e dei suoi fans che sono molto esigenti e già in passato m’avevano ‘bastonato’ per certe mie avventure nel sacro repertorio… meritatamente, debbo dire”.
A proposito di condivisioni nel disco, oltre a D’Alessio e Clementino, ci sono Irama, Baby Gang, Massimo Pericolo
“Per me è sempre la musica che parla. E gl’incontri che riesce a creare. Irama, ad esempio, l’ho conosciuto a cena e poi ci siamo ritrovati in studio, dove m’a sorpreso dicendo che di me apprezzava soprattutto la wave napoletana rap di brani come ‘Stu core t’apparten’, ‘Buonanotte amò’, ‘Nisciun’. Così l’ho sfidato a cantare con me un pezzo di quel tipo. Debbo dire che in ‘Chhiù bene'e me’ alla fine se l’è cavata; da 0 a 10 gli darei un buon 7 perché so che non è facile. Anzi, se l’incontrate ,chiedetegli il titolo della canzone così vediamo se lo pronuncia bene”.
Qual è la collaborazione che le piacerebbe aggiungere prima o poi alle tante esperienze di una carriera fortunata?
“Con Marco Mengoni frequentiamo la stessa palestra. Un giorno, finito l’allenamento, sarebbe bello andarcene in studio assieme”.