Rientro dei cervelli . Buona la partenza (Pnrr) ma si continui a investire
Fabbri * Il calo demografico e il conseguente rallentamento atteso nella dinamica degli iscritti all’università, da un lato, e la migrazione...

Fabbri *
Il calo demografico e il conseguente rallentamento atteso nella dinamica degli iscritti all’università, da un lato, e la migrazione all’estero di migliaia di ricercatrici e ricercatori in cerca di condizioni di lavoro migliori quanto a risorse disponibili, stipendio e opportunità di crescita, dall’altro, stanno depauperando l’università italiana e con essa il nostro capitale democratico, culturale e sociale. Considerando che degli 1,6 milioni di studenti extraeuropei che decidono di fare l’università o il dottorato di ricerca in Europa (Eurostat, 2022), appena circa il 5% sceglie l’Italia (contro circa il 23% della Germania e circa il 15% della Francia), non stupisce che l’Italia, prima tra i Paesi europei, abbia elaborato politiche di incentivazione e supporto al rientro di cervelli in fuga. Il rientro di ricercatori di eccellenza ha evidenti ricadute anche sulla qualità della didattica e sulla sua internazionalizzazione e contribuisce a rendere più attrattivo il sistema universitario italiano. Il Pnrr ha allocato sulla misura “rientro cervelli” ben 600 milioni, nel 2022 ne sono stati messi a bando 220 con un decreto firmato dalla ministra Messa, lo scorso aprile ne sono stati messi a bando altri 50 (decreto firmato dalla ministra Bernini). Si tratta di una misura molto apprezzata dagli atenei italiani, che ne hanno fatto utilizzo traendone benefici, in primis sulla qualità della produzione scientifica e che ha funzionato grazie al contestuale investimento di risorse ingenti, in totale 11 miliardi, sempre Pnrr, sul rafforzamento delle infrastrutture di ricerca. La misura si sarebbe potuta intitolare Choose Italy for Science e, considerando l’entità del finanziamento sei volte superiore, avrebbe potuto fare più scalpore di quella annunciata da Macron per la Francia. Al momento non si conoscono i dettagli della misura annunciata dal presidente francese, e nemmeno quelli del pacchetto-magnete da 500 milioni annunciato da von der Leyen. Ma è probabile, come ha fatto notare il nostro governo, che le misure già progettate e adottate in Italia rappresentino un buon punto di riferimento per lo sviluppo e l’affinamento di politiche Ue per il rafforzamento della comunità scientifica. Ma dall’esperienza italiana si apprende anche che la qualità della vita professionale e della produzione di uno scienziato dipende dall’entità di risorse che ha a disposizione per fare ricerca (oltre che dall’importo della sua retribuzione). E questo, per noi, al crepuscolo del Pnrr, rimane un problema critico.
*Direttore del Dipartimento di Economia
M. Biagi - Università di Modena e Reggio Emilia