ReArm Europe serve soprattutto alla riconversione industriale della Germania?
Dopo il Green Deal, ReArm Europe è il nuovo stratagemma per finanziare la “riconversione” dell’industria automobilistica tedesca. La lettera di Teo Dalavecuras

Dopo il Green Deal, ReArm Europe è il nuovo stratagemma per finanziare la “riconversione” dell’industria automobilistica tedesca. La lettera di Teo Dalavecuras
Caro direttore,
finalmente si comincia a capire qualcosa. Il ReArm Europe, ultima parola magica uscita dal capace cilindro della tedesca von der Leyen, parola alla quale, con evidente sollievo, i media europei si sono subito aggrappati, è lo stratagemma per finanziare la “riconversione” dell’industria automobilistica tedesca, dopo la presa d’atto del fallimento di un precedente tentativo di “riconversione”, noto con un’altra parola magica, Green Deal. Così si spiega anche la “liquidazione” di 100 miliardi di investimenti “verdi”, promessa dal cancelliere designato Merz ai verdi seguaci di Robert Habeck, per assicurarsene il voto quando martedì prossimo un parlamento federale scaduto voterà a Berlino con la maggioranza di due terzi la modifica al freno costituzionale al debito, inserita nel 2009 dalla “cancelliera venuta dal freddo” nella Costituzione della Germania. Cento miliardi possono sembrare tanti, ma al cospetto della megalomania del Green Deal rappresentano una somma ragionevole per le esequie: elaborare un lutto costa sempre qualcosa, e per fortuna al timone del Paese più importante d’Europa anziché un piccolo borghese social-democratico c’è oggi un uomo che viene dall’alta finanza e che quindi non si lascia impressionare neanche dai “trilioni” (come, con l’ennesimo anglicismo, ormai si chiamano le migliaia di miliardi).
Ho usato l’avverbio “finalmente” perché dopo decenni di discorso pubblico inquinato – quanto meno in Occidente – da un linguaggio equivoco fatto di valori, sfide, sogni e un arcobaleno di emozioni, insomma da quella che il povero professor Marx chiamava “sovrastruttura”, sembra si stia tornando con i piedi per terra: von der Leyen è al suo posto per fare gli interessi dell’industria tedesca (con mezzo occhio di riguardo per l’unica potenza atomica dell’Unione Europea, sulla quale incombono ancora due anni di “regno” di un presidente piuttosto autoreferenziale). Comunque sia, la logica è cristallina: dacché quei bastardi dei consumatori europei non si sono affrettati a mandare dal demolitore l’auto a combustione interna per dotarsi di vetture elettriche, invece di automobili si fabbricheranno carri armati e quei riottosi dei consumatori europei dovranno pagarli senza però poterseli comprare; così imparano a disattendere le aspettative degli insonni che a Palazzo Berlaymont e dintorni pianificano il futuro.
La Commissione Europea è composta ormai di scolaretti, e così il “parlamento” europeo dove, alla bisogna, c’è sempre uno “scandalo” da togliere dal frigo, che si chiami Qatar o Huawei non ha nessuna importanza. Se non basta, trenta o cinquantamila persone pronte a radunarsi nel medesimo luogo all’ora convenuta si trovano sempre, e francamente mi stupisce lo spreco di parole sulla ovvia divergenza di opinioni che si registra – ci mancherebbe – in un’adunata di queste dimensioni, quando tutti sappiamo che il messaggio è solo nella dimensione numerica e nell’unità di luogo e di tempo, il resto è inutile chiacchiera. Insomma, il “consenso” è garantito.
Prendiamo atto che l’Europa è governata con pugno di ferro dalla moglie del barone von der Leyen. Però adesso bisogna muoversi. Il Sole24Ore di domenica ricorda che nella Ue stazionano diecimila miliardi di risparmi privati, ma che “soltanto” il 30% di questa somma è investita in titoli. Ma non devi preoccuparti, caro direttore: sono già pronte – rassicura il quotidiano della Confindustria – le linee guida per ”favorire l’uso” di questi 10 mila miliardi. Si tratta dell’ennesimo “piano” che sta finendo di cuocere nella premiata forneria di Palazzo Berlaymont.
Insomma, le prospettive sono radiose. C’è un solo dettaglio. Tutto quello che ci si prepara è rigidamente pianificato negli stessi luoghi dove è stato pianificato il Green Deal (e questa è già una bella garanzia di risultato). Il fatto è che quando ancora in Europa non sappiamo se è arrivato il momento di cominciare a leccarsi le ferite dopo l’impoverimento da Covid, poi da guerra in Ucraina, la notizia che là dove si puote ciò che si vuole ci si stia concretamente organizzando per mettere le mani sui “tesoretti” individuali, che sono la sola possibile consolazione in epoche di redditi calanti, provoca un leggero brivido. Ma non di piacere. Di questo passo in Europa quel che resta della classe media (o “plebe” come preferisce dire Riccardo Ruggeri) smetterà presto di preoccuparsi dell’afflusso di migranti più o meno clandestini e comincerà a porsi il problema di dove emigrare.