Quei 47 mila dollari in media di risparmi perduti
Per la precisione, da quando il presidente ha iniziato il suo secondo mandato ciascuno nel 62% degli americani che hanno i propri soldi investiti in azioni a Wall Street ha perso circa 47 mila dollari. In media, per ognuno di loro. Ma questa è la più ingannevole di tutte le medie, perché la società americana […] L'articolo Quei 47 mila dollari in media di risparmi perduti proviene da Iusletter.

Per la precisione, da quando il presidente ha iniziato il suo secondo mandato ciascuno nel 62% degli americani che hanno i propri soldi investiti in azioni a Wall Street ha perso circa 47 mila dollari. In media, per ognuno di loro. Ma questa è la più ingannevole di tutte le medie, perché la società americana è strutturata attorno agli estremi e non certo a chi sta nel mezzo.
Nel Paese 162 milioni di persone detengono azioni quotate a Wall Street, eppure appena un decimo fra gli investitori ne controlla più del 90%. Ciascuno di loro ha poco meno di quattro milioni di dollari in azioni, sempre se le medie avessero senso nella vita di un Paese così. Nella scala sociale segue poi un’altra metà abbondante della popolazione americana che ha in mano appena il 7% della capitalizzazione del più vasto mercato finanziario al mondo: ciascuno di loro controlla uno spicchio del sogno di Wall Street pari a circa 50 mila dollari, nella solita teorica media.
Sotto questo ceto di piccoli possidenti azionari segue infine il terzo strato sociale americano, un altro 38% circa dei potenziali elettori: sono privi di attività finanziarie, semmai hanno solo debiti in banca o sulla carta di credito con cui hanno comprato la casa, la macchina, le cure del dentista, l’istruzione del figlio o hanno debiti con cui, semplicemente, sopravvivono. Quando i tassi della Federal Reserve erano ai loro massimi poco sopra al 5% l’anno scorso, questi americani pagavano spesso anche il 28% sulle loro carte di credito: interessi che in Europa varrebbero il carcere per il reato di usura.
Nel Paese 162 milioni di persone detengono azioni quotate a Wall Street
Questa America, l’ultimo 38% della società, è il cuore del movimento di Donald Trump. E sono elettori indifferenti alle cadute di borsa innescate dal «Liberation Day» con l’annuncio di tariffe «reciproche». A loro i crolli di Wall Street non fanno né caldo né freddo, perché non li riguardano. Anzi, loro potrebbero anche trovare del sollievo immediato nel clima che Trump ha portato nell’economia: le sue politiche fanno presagire una recessione che deprime i rendimenti di mercato dei titoli di Stato e con quelli gli interessi sui debiti a tasso variabile.
Questo spiega perché Trump appaia indifferente a perdite di Wall Street che, nel suo primo mandato, lo avrebbero fatto tornare sui propri passi. Stavolta no. La sua strategia protezionista punta a ridare la dignità di posti di lavoro nell’industria a questi americani che non hanno più molto da perdere. Per riuscirci, il presidente vuole fissare dazi così alti e duraturi da spingere imprenditori dal resto del mondo a spostare gli impianti negli Stati Uniti per accedere al consumatore americano senza pagare tassa all’ingresso. È una strategia contro la Cina, ma non solo. È un’ipotesi di rivincita dell’uomo bianco dimenticato dalla globalizzazione. Peter Navarro, il consigliere più influente di Trump, ieri sera sul Financial Times lamentava i deficit commerciali «per 20 mila miliardi di dollari» dal 1976 che hanno coinciso con la delocalizzazione delle fabbriche e la distruzione di 6,8 milioni di posti nel manifatturiero.
L’intento del protezionismo è comprensibile, ma rischia di non funzionare. I dazi genereranno rincari sui prodotti importati e un’inflazione che taglia le gambe agli ultimi, che Trump vorrebbe aiutare. E i crolli di borsa — quei 47 mila dollari in meno per ciascuno — faranno sentire più povere altre 162 milioni di persone, anch’esse tra l’altro colpite dall’inflazione. Risultato: i consumatori americani tireranno la cinghia, portando probabilmente il Paese in recessione perché loro da soli contano per più di due terzi dell’economia. Contano, da soli, per il 18% dell’economia mondiale. Intanto la catena delle tensioni finanziarie non si fermerà da sé e rischia di innescare dissesti destabilizzanti. Non a caso Trump stesso proprio ieri sera ha iniziato la prima marcia indietro: ha aperto a negoziati con gli altri governi, in vista di una riduzione dei dazi.
Per ridare dignità ai dimenticati devono esserci altri modi che non siano atti di guerra economica contro il resto del mondo, destinati a ritorcersi contro l’America stessa.
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