Pronti? partenza… startup!

I nuovi incentivi fiscali mirano a rafforzare l’ecosistema dell’innovazione in Italia, offrendo strumenti mirati per incentivare gli investimenti da parte di privati e soggetti qualificati L'articolo Pronti? partenza… startup! proviene da Economy Magazine.

Mar 23, 2025 - 20:28
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Pronti? partenza… startup!

In ecosistema in buona salute, da cui si ci attende un significativo balzo in avanti nel 2025: secondo i dati del Politecnico di Milano e di Cribis il mondo delle startup innovative italiane sarebbe pronto a cogliere le nuove opportunità aperte delle recenti disposizioni di legge. A patto di saper dialogare con i potenziali investitori e non commettere errori, tra cui guardare solo al mercato nazionale per la distribuzione delle proprie soluzioni. 

Tutti i numeri dell’ecosistema 

Secondo l’ultimo Osservatorio sulle startup innovative realizzato da Cribis, società del Gruppo Crif, che ha analizzato le caratteristiche e i trend nel nostro Paese, alla fine del 2024 l’Italia contava 11.565 startup innovative. L’area con la concentrazione maggiore è il Nord-Ovest (35,1%), seguito da Sud Italia e isole (27,7%), Centro (20%) e Nord-Est (17%).  Il tasto dolente dell’indagine è che gli strumenti digitali rappresentavano un’opportunità ancora da sfruttare, un dettaglio tutt’altro che trascurabile se si considera che una startup innovativa, secondo la definizione che ne dà il legislatore, è “un’ impresa che ha tra le proprie prerogative anche quella di avere un oggetto sociale esclusivo o prevalente nello sviluppo, produzione e commercializzazione di un prodotto o servizio ad alto valore tecnologico”. 

Il 43,9% delle startup innovative in Italia, quasi a sorpresa, presenta un livello di “digital attitude” medio-basso: in pratica questa percentuale avrebbe investito poco o nulla in digital marketing, digital transformation e nell’utilizzo di Internet come canale per il business. 

Investimenti: a che punto siamo

Secondo l’Osservatorio Startup & Scaleup Hi-Tech del Politecnico di Milano l’anno scorso gli investimenti in Italia ammontavano a circa 1,493 miliardi di euro: pur risultando ancora ben al di sotto dell’importo record del 2022 (2,160 miliardi), hanno registrato una buona ripresa rispetto al valore totale consuntivo del 2023 (pari a 1,131 miliardi), gli investimenti da parte di attori formali, tra cui fondi venture capital indipendenti, fondi corporate venture capital aziendali e fondi governativi, hanno mostrato inoltre un’ottima crescita (+42%) rispetto al 2023. Nonostante ciò, come precisa Manuel Urzi, Dealflow & New Business Manager di Startup Geeks, il più grande incubatore on line italiano, «gli investimenti startup in Italia non sono paragonabili a quelli dell’ecosistema tedesco, che ha 7 miliardi e mezzo, o quello francese pari a 8,8 miliardi. L’analisi si fa molto più preoccupante se analizziamo il valore pro capite degli investimenti: 18 euro pro capite investiti in startup in Italia contro gli 83, 102 e 186 rispettivamente di Germania, Francia e Inghilterra. Il gap è ampio ma grazie all’opportunità fornita dai recenti provvedimenti di legge vi sono ampie possibilità di crescita. Oltre alle agevolazioni fiscali previste per gli investitori, i fondi pensione e le casse previdenziali private dovranno destinare almeno il 5% del portafoglio investito in fondi che investono in startup».

Come attrarre gli investitori e quali errori non commettere

Se da un lato il terreno appare fertile per una crescita dell’ecosistema delle startup innovative, data l’approvazione delle agevolazioni fiscali e la proliferazione di iniziative tese a favorire programmi di incubazione e accelerazione, dall’altra tuttavia occorre colmare alcune lacune di tipo culturale.

«Un’analisi molto celebre di CBinsight  elenca le principali cause alla base del fallimento di una startup», sottolinea Urzi. «Il run-out of cash, ossia la mancanza di liquidità è sicuramente il principale, ma vi possono essere cause intrinseche al progetto e che spesso sono già evidente nella fase del preinvestimento, tra cui un business model debole, un team sbagliato, un mercato non pronto rispetto al servizio o prodotto che si sta proponendo, o più semplicemente, il timing sbagliato».

A evidenziare gli errori più comuni da parte di chi si presenta al mercato è Antonella Grassigli, Chairman & Ceo di Doorway, fintech italiana che abilita gli investimenti in Venture Capital, permettendo a un pubblico più ampio di scoprire il mondo delle  startup. «L’avere una buona idea, e quindi, dato che stiamo parlando di startup innovative, l’avere messo a punto una soluzione tecnologica innovativa e brevettabile, da sola non basta. Prima di dedicare del tempo e del denaro sul progetto, occorre valutare se il mercato in cui questa soluzione potrà essere proposta è abbastanza grande o meno. L’errore più frequente è quello di concentrarsi solo sul mercato italiano, pensando che questo sia sufficientemente grande da assicurare la crescita dell’azienda. Come ci dimostrano alcuni casi di successo, vi sono aziende nate ad esempio in Olanda, Belgio, Estonia, che fin dai primi passi si sono date la mission di crescere al di fuori dei confini nazionali e di raggiungere una scala globale, o almeno europea. Per una startup crescere al di fuori dei confini nazionale non deve rappresentare uno step “successivo”, ma deve appartenere già al suo Dna. La soluzione che ha sviluppato o che vuole sviluppare deve poter essere declinabile su più mercati e non solo su quello italiano. Occorre poi trovare un team o dei cofounder compatibili con la propria visione e disposti a crescere insieme, mettendo a fattor comune le rispettive competenze. Per un investitore è molto importante trovare questi tre ingredienti: un team forte, una tecnologia innovativa e una visione del mercato transnazionale. il mindset imprenditoriale invece può essere acquisito successivamente, attraverso tutta una serie di percorsi incubazione e accelerazione, oggi disponibili».

Solo una volta chiariti questi tre aspetti, tecnologia, team e mercato, sarà possibile individuare le opportunità di finanziamento. «Vi sono sostanzialmente tre canali: il primo è quello costituito dai programmi di accelerazione o incubazione che forniscono mentorship e le prime risorse economiche. In Italia ce ne sono vari: occorre cercare un percorso nell’acceleratore o nell’incubatore specifico per il settore in cui si intende operare. Può essere utile in parallelo avvicinarsi a un club di investitori o business angel qualificati che non si limitano solo a sostenere finanziariamente, ma che possono aiutare a trovare contatti e fornire suggerimenti dettati dall’esperienza. Infine è possibile rivolgersi a piattaforme di crowdfunding, in genere però più adatte a “testare” il mercato” in una fase successiva di sviluppo della startup».

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