Prelevamenti da deposito a risparmio intestato a minorenne: distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.
Nota a ABF, Collegio di Bologna, 8 gennaio 2025, n. 112.

Nota a ABF, Collegio di Bologna, 8 gennaio 2025, n. 112.
“C’è una misura in ogni cosa, tutto sta nel capirlo”.
(Pindaro)
Il lirico greco enuncia una grande verità. Talora il momento più difficile (discriminante, diremmo) di una decisione, non sta nella scelta stessa, ma in ciò che la precede. Nell’arte della comprensione e del discernimento che porta a individuare la misura che è insita (o dovrebbe esserlo) in ogni cosa e in ciò che ne consegue. Concetto indiscutibile nella sua lineare semplicità. Ma altro poeta, di altra epoca, Oscar Wilde ci avrebbe ricordato che “la verità raramente è pura e mai semplice”. In altri termini, non sempre è così agevole comprendere (e saremmo tentati di dire: in diritto, in modo particolare) ove sia da individuare la giusta misura e come la si possa e debba intendere.
Scendendo dalle empiree altezze della poesia alla questione che qui ci occupa ove va fissata la linea di confine (talora assai sottile confine) tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione? E, ancor più nel dettaglio: quando ricorrendo l’una piuttosto che l’altra categoria di atto, occorre che i genitori nell’agire per il minore ricorrano alla previa autorizzazione del Giudice Tutelare. Questa la questione posta all’attenzione del Collegio felsineo dell’Arbitro Bancario, oggetto della Decisione n. 112 dell’8 gennaio 2025. Nel caso di specie, il ricorrente – raggiunta la maggiore età – contesta i prelevamenti effettuati dal padre, durante la sua minore età, da deposito a risparmio al minore stesso intestato. Il rapporto era stato acceso, a suo tempo, per ricevere un’indennità di frequenza mensile dall’INPS e, nel frattempo, erano confluite sullo stesso anche somme derivanti dalla successione della madre e due assegni circolari relativi ad una polizza vita di cui era beneficiario. “Chiede, pertanto, all’Arbitro il riconoscimento degli importi prelevati dal padre per un valore complessivo di 35.050,00 euro oltre ai danni morali e agli interessi tra la data di disposizione delle citate somme (il compimento dei 18 anni) e quella del rimborso”. Nello specifico, “i prelievi dal libretto contestati ammontano a complessivi € 35.050,00 e sono stati effettuati dal 17/08/2019 al 4/07/2022. Secondo il ricorrente le somme confluite nel libretto derivano in parte da erogazioni effettuate dall’INPS a titolo di indennità di frequenza e per l’altra parte da successione mortis causa (€ 7.948,33) e dalla riscossione di una polizza vita di cui il ricorrente risultava beneficiario (€ 6.000,00 + € 6.753,33).
Nell’esame del caso, giova delineare preliminarmente la differenziazione degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione riportandosi alle ricostruzioni operatane in dottrina e in giurisprudenza.
“La gestione del patrimonio del minore (c.d. potere di amministrazione – recita il Manuale di Diritto Privato di Andrea Torrente e Piero Schlesinger – e il compimento di ogni atto relativo (c.d. potere di rappresentanza) competono, in via esclusiva, ai genitori:
- disgiuntamente, per quanto riguarda gli atti di ordinaria amministrazione (per tale intendendosi quelli che non comportano rischi per l’integrità del patrimonio […]);
- congiuntamente – «di comune accordo» (come si esprime l’art. 316, comma 1, c.c.) – per quanto riguarda gli atti di straordinaria amministrazione (per tali intendendosi quelli suscettibili di incidere in termini significativi sulla struttura e/o sulla consistenza del patrimonio […].
Peraltro – al fine di controllare preventivamente che gli atti maggiormente rischiosi per il patrimonio del minore siano effettivamente funzionali ai suoi interessi – la legge richiede che, per il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione […], i genitori si muniscano della preventiva autorizzazione del giudice tutelare (art. 320, comma 3 e 4, c.c.).
Gli atti posti in essere dai genitori in assenza della richiesta autorizzazione sono annullabili, su istanza dei genitori stessi o del figlio, una volta divenuto maggiorenne (art. 322 c,c,; v. Cass. 29 maggio 2014, n. 12177)”.[1]
Sul punto la Suprema Corte[2] ha avuto modo di chiarire che “in tema di amministrazione dei beni dei figli ex art. 320 c.c., al di fuori dei casi specificamente individuati ed inquadrati negli atti di straordinaria amministrazione dal legislatore , vanno considerati di ordinaria amministrazione gli atti che presentino tutte e tre le seguenti caratteristiche: 1) siano oggettivamente utili alla conservazione del valore e dei caratteri oggettivi essenziali del patrimonio in questione; 2) abbiano un valore economico non particolarmente elevato in senso assoluto e soprattutto in relazione al valore totale del patrimonio medesimo; 3) comportino un margine di rischio modesto in relazione alle caratteristiche del patrimonio predetto. Vanno invece considerati di straordinaria amministrazione gli atti che non presentino tutte e tre queste caratteristiche (Cass. 7546/2003; Cass. 1614/2004; Cass. 8720/2010)”.
Il Collegio dell’ABF richiama, in primo luogo, “il disposto di cui all’art. 320 c.c., che prevede l’operatività disgiunta dei genitori per gli atti di ordinaria amministrazione e l’autorizzazione del giudice tutelare per quelli di straordinaria amministrazione, aggiungendo che «I capitali non possono essere riscossi senza autorizzazione del giudice tutelare, il quale ne determina l’impiego». Il Collegio ricorda anche i consolidati orientamenti dei Collegi secondo i quali i prelievi dal libretto intestato al minore vengono considerati atti di straordinaria amministrazione che richiedono una autorizzazione preventiva, anche generica, da parte del giudice. In sostanza (Collegio di Roma, decisione n. 9893/2021): «ripetute operazione di prelievo da un libretto, per somme complessivamente significative, non possono che essere ritenute atti di straordinaria rispetto dell’art. 320 c.c.. E, inoltre, anche qualora si trattasse di piccoli e ripetuti prelievi necessari per il mantenimento e la cura del minore, ciononostante tali operazioni necessiterebbero comunque di una autorizzazione preventiva, magari generica, da parte del giudice». Peraltro, gli stessi Collegi (Collegio di Roma, decisione n. 5116/2013) hanno, però, sottratto a questi principi le prestazioni assistenziali secondo un criterio adottato dalla […] comunicazione dell’INPS, Direzione Centrale Assistenza e Invalidità Civile 26 marzo 2014, n. 3606.[3]
Nella suddetta comunicazione “si precisa che le operazioni relative all’accredito dell’indennità di frequenza o dell’indennità di accompagnamento sono da qualificarsi quali atti di ordinaria amministrazione di cui all’art. 320, 1° comma, c.c. e pertanto non richiedono alcuna autorizzazione da parte del Giudice tutelare (in tal senso si sono più volte pronunciati i giudici di merito (vedasi da ultimo Tribunale di Civitavecchia n. 2269 del 26/11/2013). Tali indennità sono quindi gestite direttamente da coloro che esercitano la potestà genitoriale per l’assistenza e la cura del minore. Si tratta, in concreto, di somme a scadenza periodica che non costituiscono proventi da lavoro del minore e non rientrano nel concetto di capitale di cui all’art. 320 c.c., che riguarda somme incassate una tantum e destinate a produrre frutti nel lungo periodo. Le indennità in discorso, ovviamente sempre nell’ambito delle finalità stabilite dalla legge, sono quindi nella piena disponibilità dei genitori senza che si renda necessaria alcuna specifica autorizzazione del giudice. Ne discende che il rappresentante legale del minore ha facoltà di compiere, senza specifica autorizzazione da parte del giudice, tutti i singoli atti necessari per percepire gli importi spettanti, compresa l’apertura e la gestione di un conto corrente intestato al minore beneficiario della prestazione (cfr. Cass. 13 maggio 2011, n. 10654). Quanto detto vale anche nel caso di riscossione di eventuali ratei arretrati delle indennità in oggetto, non incidendo le modalità di erogazione dell’indennità sulla natura giuridica della stessa”.
Delineato l’anzidetto quadro normativo e giurisprudenziale il Collegio Arbitrale conclude nel considerare il prelevamento dei ratei pensionistici, accreditati sul libretto di deposito a risparmio, quali atti rientranti nell’ordinaria amministrazione e come tali suscettibili di essere prelevati dall’esercente la rappresentanza genitoriale senza alcuna previa autorizzazione del giudice tutelare.
Diversa la conclusione per il prelevamento dei restanti importi. E cioè, € 7.948,33 (rivenienti da successione mortis causa e per cui pure sussisteva autorizzazione del giudice tutelare alla riscossione del relativo importo e al conseguente accredito sul rapporto di deposito a risparmio, ma al suo successivo utilizzo) e agli importi rispettivamente di € 6.000,00 e di € 6.753,33 che, in assenza di prova contraria da parte dell’intermediario resistente, sono state ascritti alla liquidazione di polizze vita. In tali ultimi casi, riconoscendone, pertanto, il rimborso al ricorrente. “Respinge invece la domanda di ottenere gli interessi così come quantificati dal ricorrente (e cioè a decorrere dalla data in cui avrebbe potuto disporre delle somme, applicando un tasso di remunerazione pari al tasso sui depositi BCE) in quanto da un lato l’applicazione di interessi creditori presuppone il deposito delle somme nel libretto, mentre il ricorrente, nelle repliche, lamenta l’impossibilità di utilizzare ed investire le somme, dall’altro non deposita alcuna documentazione contrattuale per verificare la sussistenza di una pattuizione sugli interessi creditori e la loro misura. Né tantomeno si può qualificare tale richiesta come diretta ad ottenere il risarcimento del danno da perdita di chance, in quanto la stessa difetterebbe comunque di supporto probatorio. Analogo giudizio il Collegio esprime sulla richiesta di risarcimento dei danni morali asseritamente subiti, non specificata e priva di qualsiasi seppur minimo supporto probatorio”.
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[1] Andrea Torrente, Piero Schlesinger, Manuale di Diritto Privato, ventiquattresima edizione (a cura di Franco Anelli e Carlo Granelli), 2019, Giuffrè Editore.
[2] Cass. civ, Sez III, Sent. (data udienza 05/12/2018) 27/03/2019, n. 8461.
[3] Messaggio Inps – Direzione Centrale Assistenza e Invalidità Civile 26 marzo 2014, n. 3606.