Lavoratori poveri anche se full time, il 9% fatica ad arrivare a fine mese
Aumentano i lavoratori poveri in Italia e un impiego a tempo pieno è sempre meno una garanzia di benessere economico. Situazione particolarmente grave per giovani e autonomi

Avere un lavoro a tempo pieno, sempre più spesso, non basta a garantire la sicurezza economica.
Secondo dati Eurostat appena diffusi, nel 2024 il rischio di povertà lavorativa è aumentato: il 9% degli occupati a tempo pieno ha un reddito inferiore al 60% del reddito mediano nazionale, al netto dei trasferimenti sociali.
Aumentano i lavoratori poveri full time
Si tratta di numeri in crescita rispetto a quell’8,7% registrato nel 2023. Una percentuale che risulta più che doppia rispetto alla Germania, dove il fenomeno interessa solo il 3,7% dei lavoratori a tempo pieno.
Se si estende l’analisi a tutti gli occupati che hanno lavorato almeno metà dell’anno, sia full time che part time, la quota italiana sale al 10,2%, contro il 9,9% dell’anno precedente. Una dinamica che segnala come, sempre più spesso, lavorare non sia più sufficiente per uscire dalla soglia di povertà.
Lavoratori autonomi svantaggiati
A soffrire maggiormente di questa condizione sono i lavoratori autonomi, tra i quali ben il 17,2% è sotto la soglia di povertà, in aumento rispetto al 15,8% del 2023. Ma anche tra i lavoratori dipendenti la situazione è peggiorata, seppure lievemente: l’8,4% dei lavoratori subordinati italiani risulta a rischio, rispetto all’8,3% dell’anno precedente.
Giovani e laureati
Particolarmente fragile è poi la condizione dei giovani tra i 16 e i 29 anni, tra i quali il tasso di povertà lavorativa tocca l’11,8%. Peggiora anche la situazione di chi ha un livello di istruzione più basso: tra i lavoratori che hanno assolto solo l’obbligo scolastico, il rischio di povertà sale al 18,2%.
Interessante è il dato relativo ai laureati: pur rimanendo contenuto (4,5%), anche tra chi possiede un titolo universitario si registra un incremento del rischio povertà, rispetto al 3,6% del 2023.
Cala la deprivazione materiale
Se i dati sulla povertà lavorativa destano preoccupazione, un elemento positivo emerge sul fronte della deprivazione materiale, vale a dire soffrire di almeno quattro tra i seguenti nove sintomi di disagio sociale:
- non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione;
- non poter sostenere una spesa imprevista di un certo rilievo;
- non potersi permettere un pasto proteico almeno una volta ogni due giorni;
- non potersi permettere una settimana di vacanza lontano da casa;
- non potersi permettere un televisore;
- non potersi permettere una lavatrice.
- non potersi permettere un’automobile;
- non potersi permettere un telefono;
- essere in arretrato con i conti (bollette, affitto, mutuo, prestito).
Nel 2024, la percentuale di persone incapaci di permettersi beni o servizi essenziali è scesa all’8,5% della popolazione, contro il 9,8% del 2023: il livello più basso dal 2015, anno d’inizio delle serie storiche Eurostat. In termini assoluti, si tratta di circa 5 milioni di persone. La deprivazione materiale è diminuita in tutte le fasce d’età:
- over 65 – dall’8,4% al 7%;
- under 18 – dall’11,1% al 10,5%;
- under 16 – all’11,7% dal 13,5%.
Lo stato di grave deprivazione materiale riguarda oggi circa 2,7 milioni di persone, pari al 4,6% della popolazione italiana.
Le soluzioni
Il quadro che emerge appare contraddittorio, dal momento che da una parte cala la quota di popolazione in stato di deprivazione materiale mentre dall’altra parte aumenta il numero di lavoratori poveri anche se con un contratto a tempo pieno.
Al netto delle percentuali che variano da un anno all’altro, il quadro è già noto alla classe politica, la quale si è divisa sulle soluzioni da adottare. Da sinistra si invoca l’introduzione del salario minimo a 9 euro l’ora. Da destra si demanda la questione salariale alla contrattazione collettiva, mentre si procede ad aiutare le famiglie in difficoltà con bonus mirati.