Perché il potere non vuole la verità sulla mafia: intervista a Salvatore Borsellino

Una deriva politicamente autoritaria e narrativamente negazionista sul presunto ruolo degli apparati deviati dello Stato dietro alle stragi. È questa la denuncia indirizzata al governo dal fondatore del Movimento delle Agende Rosse Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo Borsellino, ucciso a Palermo il 19 luglio del 1992. Un allarme che, negli ultimi mesi, lo ha […] The post Perché il potere non vuole la verità sulla mafia: intervista a Salvatore Borsellino appeared first on L'INDIPENDENTE.

Mag 12, 2025 - 18:18
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Perché il potere non vuole la verità sulla mafia: intervista a Salvatore Borsellino

Una deriva politicamente autoritaria e narrativamente negazionista sul presunto ruolo degli apparati deviati dello Stato dietro alle stragi. È questa la denuncia indirizzata al governo dal fondatore del Movimento delle Agende Rosse Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo Borsellino, ucciso a Palermo il 19 luglio del 1992. Un allarme che, negli ultimi mesi, lo ha spinto a promuovere la nascita di un Coordinamento tra i familiari delle vittime delle stragi di mafia e terrorismo, con l’obiettivo di sviluppare una strategia unitaria di denuncia contro un sistema di potere che, nelle sue articolazioni istituzionali e mediatiche, sembra ignorare completamente le istanze della società civile su questi temi. Il tutto mentre in Commissione Antimafia si cerca in tutti i modi di allontanare le ombre dell’eversione nera e dei servizi segreti che si stagliano sulle stragi.

Salvatore Borsellino, come si sta approcciando l’Italia al 33° anniversario della strage di via d’Amelio?

Credo che in questi ormai più di trent’anni passati dall’esecuzione di quella strage non ci sia mai stato un periodo più nero di questo. È in atto, da parte del sistema di potere che oggi ci governa, una strategia di riscrittura della storia del nostro Paese, che di stragi è costellata, tesa a parcellizzare questi attentati, che invece fanno parte di un unico disegno eversivo, cancellandone da queste le responsabilità dell’eversione nera (e non solo di questa) e banalizzandone le cause a sole stragi di mafia. Laddove invece alla mafia è stato spesso affidato, dagli apparati dello Stato deviato, soltanto un ruolo esecutivo. La Commissione Parlamentare Antimafia, la cui presidenza è stata affidata a Chiara Colosimo (una persona che non ha evitato di esibire in una foto i suoi rapporti più che confidenziali con un terrorista come Luigi Ciavardini, condannato come esecutore della strage di Bologna), ha ristretto i suoi lavori alla sola strage di Via D’Amelio, isolandola dalle altre stragi (in particolare da quella di Capaci, a cui è invece indissolubilmente legata) e banalizzandone le cause a un dossier “mafia-appalti” che mai avrebbe potuto giustificare l’accelerata esecuzione della strage. 

Quali pensa siano le reali causali dietro a quell’attentato?

In primo luogo ritengo vi sia la trattativa tra mafia e Stato, alla quale mio fratello era assolutamente contrario e che avrebbe avversato con ogni mezzo. Poi vi è ciò che mio fratello aveva scoperto sulla strage di Capaci e su cui aveva detto che si aspettava di riferire all’autorità giudiziaria prima, se fosse stato il caso, di riferirne in pubblico. Sono in particolare queste parole, pronunciate il 25 di giugno in un incontro pubblico alla biblioteca comunale di Palermo, che determinano la sua condanna a morte. Paolo non verrà mai sentito dalla Procura di Caltanissetta, alla quale verrà invece, dopo la sua morte, chiamato irritualmente a collaborare alle indagini quel Bruno Contrada [allora numero due del SISDE, ndr] del quale, pochi giorni prima, Gaspare Mutolo gli aveva rivelato la collusione con la mafia. Penso anche, ma non ne ho le prove, che Paolo negli ultimi giorni della sua vita si fosse reso conto o avesse avuto notizie del coinvolgimento dei servizi e dell’eversione nera nella strage di Capaci e che per questo sia stata affrettata la sua esecuzione e sia stata fatta scomparire la sua agenda rossa.

Dal punto di vista processuale, a che punto siamo su via D’Amelio?

Purtroppo, a distanza di più di trent’anni, proseguono i depistaggi, anche quelli di Stato, rivelati soltanto con il processo Borsellino quater. Inoltre non si indaga come sarebbe necessario e non si è mai svolta nemmeno la fase dibattimentale di uno specifico processo su quella che sarebbe la scatola nera di quella strage, l’agenda rossa, sottratta dalla macchina di Paolo negli istanti immediatamente successivi all’attentato. Non solo: nei processi che si stanno svolgendo a Caltanissetta, su quelli che sono peraltro solo gli ultimi anelli di quel depistaggio di Stato sancito dal Borsellino quater, è stata pure respinta, per «mancanza di requisiti», la costituzione di parte civile mia e di altri familiari di vittime. Non solo dopo oltre trent’anni non abbiamo giustizia, ma ci viene negato anche il diritto di chiederla.

Lei ha protestato pubblicamente contro il testo del Decreto Sicurezza approvato dal governo Meloni. Cosa non la convince? 

Tralasciando gli altri aspetti assai critici del testo, quello che mi colpisce è la parte relativa alle facoltà che vengono date ai servizi segreti. Le cose che da sempre questi hanno fatto – tra le quali l’istigazione e la partecipazione a queste stragi – saranno da oggi coperte dalla legge. Potranno non solo infiltrarsi nelle strutture terroristiche ma anzi parteciparvi attivamente e assumerne il comando, detenere e utilizzare esplosivi, addirittura commettere omicidi rispondendone soltanto al capo del governo. In pratica quegli stessi reati che da sempre hanno commesso, ma per i quali dovevano, nel caso almeno fossero stati individuati, rispondere alla legge. Ora, per questi reati, saranno al di sopra delle leggi e il presidente del Consiglio, al quale dovranno risponderne, è arrivato addirittura a dire che il provvedimento è stato emanato come decreto e non discusso in Parlamento per questioni di urgenza, per rispondere alle aspettative dei cittadini. In realtà i cittadini, in particolare i familiari delle vittime di queste stragi, non sono stati neppure ascoltati, né dalle stesse commissioni parlamentari che stavano elaborando il provvedimento, né dallo stesso Capo dello Stato, il quale non ha neanche risposto al nostro appello.

Negli ultimi mesi, ha dato impulso alla nascita di un Coordinamento che riunisce i familiari delle vittime delle stragi cosiddette “di terrorismo” e “di mafia”. Ci racconti come è nata questa idea.

L’idea è nata proprio a causa del tentativo in atto da parte di questo governo di riscrivere la storia del nostro Paese, cancellando la responsabilità dei servizi e dell’eversione nera, parcellizzando lo studio delle stragi e banalizzandone le cause. Secondo quest’ottica, esse devono essere attribuite soltanto a quanti sono stati utilizzati come esecutori, escludendo da questi gli esecutori neofascisti. Inoltre, le ultime sentenze della magistratura hanno ancora di più allontanato la speranza di poter ottenere, nel corso della vita che mi resta, quella verità e quella giustizia per cui combatto da anni. Ho pensato allora che fosse necessario avere una voce comune, e quindi più forte e più incisiva, da parte delle associazioni dei familiari di vittime per quella che dovrebbe essere una esigenza di tutto il Paese – e che invece, troppo spesso, viene lasciata in carico soltanto a noi. 

Dato il contesto assai critico, che appello lancia alla politica e alla società civile?

Alla politica, sia di opposizione che di governo, non posso che lanciare l’appello di fare di tutto, ognuno nel proprio ruolo, per fare emergere la verità su queste stragi che hanno disseminato la storia d’Italia. Finché non emergeranno le verità e non ci sarà giustizia, il nostro Stato non potrà definirsi davvero democratico. Alla società civile posso dire di fare ognuno, per quanto piccola possa essere, la sua parte. È necessario non soltanto non essere complici, ma anche non essere indifferenti, non voltare la testa dall’altra parte, non dire «non è affar mio, sono gli altri, le autorità, a doverci pensare». Se riusciremo a farlo, questo Paese non avrà più bisogno di eroi. Che, in fin dei conti, sono soltanto uomini che hanno fatto fino all’ultimo il loro dovere e che sono stati costretti a diventare eroi, a morire come eroi, a causa anche dell’indifferenza di troppi.

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