Perché detesto Il Foglio Artificiale

Il Foglio AI? Che tristezza... La lettera del giornalista Antonino D'Anna

Mar 18, 2025 - 11:59
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Perché detesto Il Foglio Artificiale

Il Foglio AI? Che tristezza… La lettera del giornalista Antonino D’Anna

Caro direttore,

confesso che iersera mi sono sentito abbastanza colpito quando al Tg1 ho visto un gongolante Claudio Cerasa, giovane direttore de Il Foglio, annunciare che per un mese uscirà anche un Foglio AI, prodotto cioè interamente dall’intelligenza artificiale.

Il primo pensiero è stato che nella nostra professione non c’è limite all’assurdo, il secondo di estrema tristezza: domani avremo orde di schiavi pagate non più pochi euro a pezzo, ma pochi cents a pezzo perché tanto a scrivere 30 righe ossia una cartella ci penserà una macchinetta “intelligente”. Che poi la macchinetta intelligente non è, visto che sostanzialmente fa una media statistica sul tema che le viene proposto nel giro di pochi millisecondi setacciando il Web, questa è la cosiddetta AI. Un oggetto inanimato, insenziente, incapace di produrre altro che testi arrotondati in nome del politically correct perché la sua caratteristica è di essere grigia, un non-colore che si adatta bene ad un non-pensiero come quello prodotto dalla macchinetta artificiale.

Aggiungo un’altra cosa: il nostro comune maestro Pierluigi Magnaschi, grande primario esperto in rianimazione di giornali (l’altro è Vittorio Feltri e non è un mistero che i due si stimino a vicenda) ci ha insegnato che il giornalismo è fatto di facce e storie. Sarà sempre così ed è sempre stata questa la sua essenza: qualcuno che va, vede con i suoi occhi, incontra le persone, racconta la possibile verità (copyright Enzo Biagi) sulla base di quello che ha visto, sentito, interrogato e persino annusato se la vogliamo dire tutta. È un mestiere esattamente come quello del sarto: lui veste corpi, noi pensieri; ed è inevitabile che ognuno di noi abbia un suo stile, personale e inconfondibile.

C’erano ampi periodi che narravano il calcio con l’arzigogolio di un italiano alto e soprannomi mescolati a dialetto lombardo di golena, ossia Gianni Brera; testi asciutti ma scorrevoli e chiari come quelli di Indro Montanelli; semplici ma con il gusto della battuta come quelli di Biagi. E gli esempi potrebbero essere a centinaia, proprio in virtù della personalità, delle tue lenti con cui guardi la realtà e in cui si riconoscono i tuoi lettori, persino quelli che ti detestano o addirittura disprezzano. Il giornalismo è questo: facce e storie narrate da te che fai questo mestiere artigianale: se cambia è finito.

E invece al Foglio festeggiano il cupio dissolvi della categoria, già avviatasi al declino con la nascita del citizen journalism verso il 2010: dai, giornalista anche tu se ci mandi la foto dell’incidente all’angolo della strada, e l’Ordine muto. Strano: non ho visto “avvocato anche tu” o “oncologo anche tu”: forse perché i loro ordini, se provi a fare il frescone senza requisiti, ti fulminano. Noi no: e dopo orde di fessi col cellulare in mano trasformatisi in “giornalisti” (gli ultimi due sono andati al Gemelli a dimostrare la morte del Papa ai loro follower), ecco a voi la fine della professione grazie alla macchinetta. Ogni mattina farà il giro dei siti e riporterà con il proprio stile grigio copiando da altri siti nel mondo. Anzi, diciamolo pure: l’AI ruba, perché non ha nemmeno la cortesia di citare la fonte: copia qua, copia là, sforbicia, cuce ed ecco il “pezzo”. Sulla base, magari, del mio e del tuo lavoro.

Quando si diffuse il citizen journalism il settimanale Time pose un’osservazione interessante: se volete l’informazione dovete pagarla, non potete pensare di produrla gratis. Costa formare un professionista e costa spedirlo – a suo rischio e pericolo – in posti nei quali nessuno di quei pirla col telefonino andrebbe (al tempo Time indicò Baghdad). Oggi mi chiedo: a Gaza ci andrà la macchinetta? E nel Donbass, ai Campi Flegrei tra le scosse, a Corleone o nella Terra dei Fuochi? Ah, saperlo… però i passeggeri del Titanic, cioè noi giornalisti, festeggiano mentre aprono un altro squarcio nello scafo. Geniale.

Un saluto virtuale, sol perché non sono fisicamente in tua presenza,

Antonino D’Anna