Oro ai massimi storici: sfondati i 3.500 dollari l’oncia

Il metallo giallo segna un nuovo record, sostenuto da tensioni geopolitiche e debolezza della moneta statunitense. Bene rifugio per gli investitori, mentre le banche centrali continuano ad accumulare riserve

Apr 22, 2025 - 15:51
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Oro ai massimi storici: sfondati i 3.500 dollari l’oncia

Roma, 22 aprile 2025 – Nuovo record per l’oro, che ha sfondato la soglia dei 3.500 dollari l’oncia nei contratti futures con consegna a giugno, raggiungendo il massimo storico di 3.509 dollari prima di attestarsi poco sotto. Il metallo prezioso con consegna immediata si aggira oggi intorno ai 3.485 dollari, segnando un balzo del 2,39%. “Oggi l'oro è balzato del 2%, superando i 3.500 dollari l'oncia, un nuovo massimo storico sostenuto dalla domanda di beni rifugio in un contesto di crescenti tensioni commerciali globali e da un dollaro statunitense più debole”, commenta Saverio Berlinzani, chief analyst di ActivTrades.

La tempesta perfetta per i beni rifugio

Dietro il rally dell’oro si cela un mix di fattori che alimentano l’incertezza. Il dollaro è ai minimi da tre anni, la fiducia nei confronti dell’economia statunitense è scossa, e le tensioni tra la Casa Bianca e la Federal Reserve stanno crescendo. “Il biglietto verde è sceso al minimo degli ultimi tre anni, poiché la fiducia degli investitori nell'economia statunitense ha subito un ulteriore colpo a causa dei piani di Trump di dare una scossa alla Federal Reserve”, prosegue Berlinzani. La minaccia, non smentita, di rimuovere dal suo incarico il presidente della Fed Jerome Powell ha aumentato l’attrattività dell’oro, anche in virtù dei bassi rendimenti offerti dalle obbligazioni dopo l’ultimo taglio dei tassi della Bce.

Una tendenza strutturale che parte da lontano

La corsa dell’oro non è una fiammata passeggera. Secondo Charlotte Peuron, fund manager di Crédit Mutuel Asset Management, “l'oro ha registrato una tendenza al rialzo ben prima dell'insediamento del presidente Trump. Le banche centrali, infatti, sono acquirenti netti da quindici anni consecutivi”. Negli ultimi tre anni, gli acquisti netti hanno superato le 1.000 tonnellate annue, trainati soprattutto dai Paesi emergenti, impegnati a ridurre il peso del dollaro nei propri portafogli valutari. La politica commerciale americana e i rischi geopolitici hanno dato ulteriore spinta a questa dinamica.

ETF e investitori istituzionali in corsa

A conferma del forte sentiment positivo, gli ETF sull’oro sono in crescita da undici settimane consecutive. “Riteniamo che l'oro continuerà a salire, visto il diffuso scetticismo sull'esito dei negoziati sui dazi, sul dollaro e, più in generale, sugli asset statunitensi”, afferma ancora Peuron. Con un +25% da inizio anno, il metallo giallo si conferma una delle asset class più performanti del 2025. Dal punto di vista tecnico “non vi sono segnali di arrivo, tantomeno di inversione, per cui ogni ribasso appare come una nuova opportunità di acquisto”, aggiunge Berlinzani.

Effetto leva sulle società minerarie

I prezzi record dell’oro incidono direttamente su ricavi e valutazioni delle società minerarie, che beneficiano di margini in espansione quando riescono a mantenere sotto controllo i costi. “Con un rapporto prezzo/NAV attualmente pari a 1,1x (rispetto alla media decennale di 0,93x) riteniamo che, data la domanda forte e sostenuta, sia ancora possibile una crescita”, osserva Peuron. Le aziende del settore hanno oggi a disposizione risorse per investimenti e politiche di distribuzione agli azionisti.

Il dilemma Usa tra dollaro debole e supremazia globale

L’analisi di Matteo Ramenghi, cio di UBS Wealth Management Italia, evidenzia le contraddizioni della nuova politica economica a stelle e strisce. “Donald Trump desidera un dollaro debole e in parte lo ha già ottenuto, ma allo stesso tempo vuole difendere il ruolo di riferimento globale della valuta statunitense. Si tratta di due obiettivi non facilmente conciliabili”, segnala Ramenghi. La perdita di peso del dollaro nelle riserve mondiali, scese sotto il 60%, spinge ulteriormente la domanda di oro, anche come risposta all’incertezza sulle future mosse della Fed. “Proprio questa è l’area meno chiara per i mercati: più dazi, meno immigrazione e una svalutazione del dollaro sono tutti elementi inflattivi”, osserva Ramenghi, prevedendo possibili tagli dei tassi da parte della banca centrale tra i 75 e i 100 punti base entro l’anno.