Occhio all’agnello straniero: i rischi di un consumo non tracciato
Sempre più agnello straniero sulle tavole degli italiani a Pasqua 2025, un vero paradosso considerando i rischi e la qualità dei prodotti che vengono esportati all'estero

Durante il periodo pasquale, il consumo di carne ovina in Italia registra un notevole incremento rispetto ad altri periodi dell’anno. Per Pasqua 2025 c’è però un paradosso riguardo all’agnello. Il re della tavola in questo periodo dell’anno rischia di diventare un problema. Si esporta un ovino di qualità, italiano, e si consuma uno meno sicuro ed estero. Attenzione quindi al risparmio se non certificato. Secondo le ultime rilevazioni del Consorzio Abbacchio Romano Igp, oltre la metà degli agnelli presenti sul mercato nazionale proviene dall’estero, sollevando preoccupazioni in merito alla tracciabilità e alle pratiche di allevamento.
Il Consorzio ha recentemente acceso una spia su questo fenomeno, sottolineando come circa 300 mila capi ovini siano importati ogni anno nel nostro Paese senza adeguate garanzie. A differenza dei prodotti certificati italiani, questi animali vengono spesso allevati in condizioni poco trasparenti, con standard di benessere animale non verificabili.
Le cifre del mercato: oltre la metà è importata
In Italia, il numero totale di agnelli immessi sul mercato nel periodo pasquale si aggira intorno alle 550 mila unità. Di queste, 300 mila arrivano dall’estero, più della metà, in particolare da Spagna, Grecia e Paesi dell’Est Europa. I prodotti di importazione vengono venduti a un prezzo inferiore fino al 40% rispetto alla carne certificata, attirando molti consumatori, soprattutto in un contesto di aumento generale dei prezzi alimentari. Con una spesa così salata diventa difficile fare una scelta che va oltre il semplice acquisto alimentare che deve però essere sempre consapevole.
I rischi dell’agnello straniero non tracciato
Una delle principali preoccupazioni riguarda la mancanza di tracciabilità della carne di agnello importata. In molti casi, non è possibile risalire con certezza alla provenienza dell’animale, alle condizioni di allevamento, né alle pratiche veterinarie adottate. Questo aspetto incide non solo sulla qualità del prodotto, ma anche sulla sicurezza alimentare.
“La differenza di prezzo tra carne certificata e convenzionale è legata in larga parte alle pratiche di allevamento” sottolinea il Consorzio Abbacchio Romano Igp. Inoltre “gli animali provenienti da sistemi intensivi, spesso stabulati in stalla, richiedono minori investimenti. Al contrario, l’allevamento secondo il disciplinare Igp implica costi aggiuntivi e controlli più rigorosi”.
L’Agnello sardo re dell’export europeo
Quando si parla di carne ovina di qualità, è impossibile non menzionare l’Agnello di Sardegna Igp. Questa razza autoctona è la vera eccellenza italiana nell’ambito dell’esportazione di carne ovicaprina, in particolare durante le festività religiose. Ogni anno vengono prodotti circa 750mila capi, tutti nati e allevati in Sardegna, per lo più allo stato brado. Di questi però un quarto finisce sui mercati esteri, con la Spagna come destinazione principale: circa il 90% delle esportazioni si ferma nel paese iberico, dove l’agnello sardo è apprezzato per la sua carne tenera e delicata, nettamente diversa da quella degli ovini locali, destinati prevalentemente ai paesi arabi.
Il valore economico del comparto è in forte crescita: secondo il Contas, il Consorzio di tutela dell’Agnello di Sardegna Igp, il giro d’affari estero ha superato i 20 milioni di euro, mentre il fatturato alla produzione ha toccato i 56 milioni nel 2024. Il prodotto è ormai stabilmente distribuito anche attraverso la grande distribuzione, con un picco del 75% delle vendite concentrate nel periodo tra Natale e Pasqua. A questo si è aggiunta, nel 2025, l’introduzione di una nuova certificazione biologica altra garanzia per un consumatore sempre più attento alla sostenibilità.
Altra carne certificata prodotta in Italia proviene da circa 185 mila capi, di cui 35 mila riconducibili al Consorzio dell’Abbacchio Romano Igp. Il resto è composto da produzioni locali non certificate, che comunque rispondono a standard qualitativi più elevati rispetto a molte produzioni estere.
Le regioni italiane con più allevamenti e le razze più diffuse
L’allevamento ovino in Italia conta più di 5,6 milioni di capi, distribuiti in oltre 110mila aziende. La Sardegna è di gran lunga la prima regione per numero di capi, seguita da Sicilia e Lazio, mentre per numero di allevamenti si aggiunge anche la Lombardia tra le prime tre. A livello produttivo, circa il 34% delle aziende è specializzato nella produzione di carne, per un totale di oltre 1,1 milioni di capi destinati alla macellazione.
Tra le razze più diffuse per la carne si trovano l’Agnello di Sardegna Igp, noto per la crescita rapida e la carne tenera, e la Comisana, diffusa soprattutto in Sicilia e apprezzata anche per la doppia attitudine carne-latte. Nel Lazio si concentra invece la presenza della Sopravissana, una razza rustica tipica delle zone appenniniche.
La crisi della filiera ovina nazionale
Se su piccola scala l’Agnello di Sardegna Ipg rappresenta un prodotto in crescita mentre nel Torinese la richiesta è aumentata secondo Coldiretti, su scala nazionale il comparto ovino sta affrontando una crisi strutturale. Secondo i dati forniti dalla CIA – Agricoltori Italiani, la transumanza, lo spostamento stagionale degli animali, è in forte difficoltà. Questo fenomeno ha portato a una significativa riduzione del 25% delle nascite di agnelli da latte rispetto al periodo pre-pandemico, passando da 350 mila a 250 mila unità.
Il calo della produzione nazionale ha diverse cause:
- abbandono dell’attività da parte di piccoli allevatori;
- costi di produzione elevati, legati al rispetto delle norme sanitarie e di benessere animale;
- minore competitività rispetto agli allevamenti esteri intensivi.
Come spiegato dal Consorzio Abbacchio Romano Igp, “gli allevatori italiani devono affrontare spese significative per garantire la qualità del prodotto, come l’installazione di recinzioni specifiche per la protezione dei pascoli, che non sono necessarie negli allevamenti intensivi”.
Il paradosso dell’import-export: qualità in uscita, incertezza in entrata
Il periodo pasquale è tradizionalmente associato a un picco della domanda di carne di agnello, e il 2025 non ha fatto eccezione. Secondo i dati della Borsa Merci telematica italiana, i prezzi all’ingrosso della carne ovina sono aumentati in media del 15% rispetto all’anno precedente. Questo incremento è stato influenzato non solo dalla crescita della domanda, ma anche dalla contrazione dell’offerta interna.
Nonostante la qualità riconosciuta a livello europeo dell’agnello italiano, il mercato nazionale continua a mostrare una crescente dipendenza dall’importazione di carne ovina, soprattutto nei periodi di alta domanda. Le forniture arrivano in particolare da Francia, Spagna e Irlanda, senza dimenticare Est Europa e Grecia.
Questa dinamica crea un paradosso commerciale, mentre esportiamo agnelli certificati, allevati secondo rigorosi standard di tracciabilità e sostenibilità, importiamo a prezzi più competitivi carne di agnello straniero, che in molti casi non offre le stesse garanzie stando a quanto dichiarato dai consorzi di settore.