Nel nome di Vincent: “Chiedo giustizia e metto kappao i bulli”

Bologna, Matteo Plicchi è tra gli organizzatori di una serata sul ring per combattere la violenza in Rete. Il figlio 23enne si uccise in diretta su TikTok due anni fa, l’inchiesta per istigazione al suicidio è stata archiviata. “La mia battaglia continua, lo sport è un antidoto”

Mag 4, 2025 - 05:18
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Nel nome di Vincent: “Chiedo giustizia e metto kappao i bulli”

Bologna, 4 maggio 2025 – Matteo Plicchi, padre di Vincent, morto suicida a 23 anni in diretta su TikTok, vittima di cyberbullismo nell’ottobre 2023. Il 23 maggio a Bologna, la sua città, un gruppo di atleti salirà sul ring di una palestra, Kappao Factory, per mandare un messaggio forte e chiaro ai violenti della tastiera, nel ricordo di suo figlio. Lei è tra gli organizzatori.

“Vogliamo riportare attenzione sullo sport come antidoto. Lo definisco così perché chiaramente il bullo cerca sempre di mettere in difficoltà le sue vittime, sovrastandole. O è con altri contro uno, o è quello più grosso che ruba la merendina al più piccolo. Questo è l’atteggiamento fisico, in presenza. In fondo è un vigliacco, studia le sue vittime, agisce contro i più deboli. Ed è più facilmente arginabile. Perché lo vedi, sai chi è”.

Vincent Plicchi da bambino faceva pugilato (foto Matteo Plicchi)

Qual è invece la difesa contro i cyberbulli?

“In questo caso, lo sport ha una valenza anche maggiore. Qualsiasi sport, non solo quelli da combattimento. Perché crea fiducia in se stessi. Riesci a fare la mezza maratona e dici a te stesso, grande, non credevo di riuscirci! Con l’allenamento si migliora non solo fisicamente ma anche dal punto di vista psicologico. Ottenere un risultato non significa vincere le Olimpiadi ma superare i propro limiti. Sei portato a credere nei tuoi mezzi, a diventare più forte, interiormente. Allora quello che dicono gli altri pesa meno».

I cyberbulli sono nemici senza volto.

“Lavorano nell’anonimato. Il bullo di solito lo incontri a scuola. Il cyberbullo, invece, ti perseguita giorno e notte. Con i messaggi, con la diffamazione pubblica e privata. E tu non sai mai chi è. Questo è davvero imbarazzante. In Italia per avere una ricetta medica serve lo Spid. Ma per minacciare di morte una persona online, si può rimanere nell’anonimato”.

Lei ha un passato da pugile, oggi prende a pugni bullismo e cyberbullismo.

“Le discipline da combattimento sono sicuramente un deterrente contro la violenza”.

Lo sport crea la ‘squadra’. Questo quanto conta?

“È una parte centrale, ed è molto bello sottolineare questo messaggio. Anche nel pugilato, disciplina individuale, non ti alleni da solo. Ci si aiuta a vicenda, per essere più preparati il giorno dell’incontro. Non resti nella tua individualità, c’è la squadra. E un’altra cosa importantissima da menzionare è l’importanza del ruolo del maestro. Che alla fine è come un padre. E qui torno sull’isolamento”.

Vincent non ha retto alle false accuse contro di lui.

“Purtroppo la vittima di cyberbullismo prova vergogna, non ne parla neanche a casa... Come è accaduto con le false accuse a mio figlio. Ti chiedi, ma a chi crederanno? Immagino l’angoscia che ti viene. Così tieni tutto dentro”.

Su quel dolore indicibile lei ha costruito un impegno, anche sociale.

“Sì, quando ci sono occasioni sono disponibile. Ho avuto l’idea dei murales, uno è a Bologna alla Lunetta Gamberini, gli altri tra Olbia e Crema, in un istituto tecnico che ha avuto problemi gravi di bullismo. C’è sempre stato un grande coinvolgimento, anche delle istituzioni, perché se ne parlasse”.

L’inchiesta per la morte di suo figlio è stata archiviata, nella parte dell’istigazione al suicidio. Cosa pensa di fare?

“In Italia non c’è una legge seria su questi temi. Le indagini vanno avanti sulla diffamazione”. La voce si spezza: “Mi chiedo: possibile che la vita di un figlio sia misurata su una cosa del genere? Alla fine si rischia una multa. La mia speranza è che dopo quasi due anni qualcuno senta questi diffamatori, e possano emergere elementi nuovi per riaprire l’inchiesta sull’istigazione al suicidio. La punizione più severa per quel che è accaduto sarebbe per quel reato, che però giuridicamente è diabolico da dimostrare. Come se una persona tutti i giorni ti ripetesse: ammazzati, ammazzati. Ma loro sono gli assassini di Vincent”.

Matteo Plicchi, padre di Vincent, suicida a 23 anni su TikTok, vittima di cyberbullismo: ha un passato da pugile