Negroni, Università di Bologna: "La sostenibilità arriva da lontano. Cambiamo il metodo d’approccio"

Docente di Economia politica al Campus di Forlì: "L’attuale fallimento è l’occasione per ripensare gli obiettivi"

Apr 24, 2025 - 07:21
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Negroni, Università di Bologna: "La sostenibilità arriva da lontano. Cambiamo il metodo d’approccio"

Professor Giorgio Giovanni Negroni, docente di Economia Politica all’Università di Bologna nel Campus di Forlì, meno di cinque anni alla fatidica data dell’Agenda 2030. Un punto di arrivo per una sostenibilità integrata o un punto di partenza?

"Per comprendere se è un arrivo o una partenza è utile porre il problema in prospettiva. La prima definizione di sostenibilità risale al 1987 con il rapporto Brundtland. L’obiettivo è soddisfare i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere le generazioni future. Poi, nel 2000, l’Onu parlò di ’Millennium development goals, obiettivi limitati ai soli paesi in via di sviluppo. Sempre nello stesso anno il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen coniò il termine Antropocene. Invece, nel 2015, simultaneamente abbiamo avuto la Cop 21 di Parigi, i 17 obiettivi dell’Agenda dello sviluppo sostenibile che riguardano tutti i paesi Onu e non più solo quelli in via di sviluppo. Ma viene anche pubblicato ’Laudato sì’ di Papa Francesco che che pone con forza al centro della riflessione il rapporto tra povertà e cambiamento climatico. I 17 obiettivi propongono una accezione ampia di una sostenibilità che è sia economica, che sociale e ambientale, tre dimensioni che dovrebbero procedere insieme. Gli obiettivi sono una visione condivisa di civilizzazione, una misura del nostro progresso e una responsabilità globale, di tutti. Ma poi le decisioni sono in campo domestico, nazionale".

Dei 17 obiettivi, a suo avviso, dove i paesi dell’Onu sono più indietro? E dove invece ci sono stati netti miglioramenti?

"Gli obiettivi non saranno raggiunti nel 2030. È già stato detto nel 2024 dall’Assemblea generale dell’Onu, che ha ritenuto di dover estendere l’orizzonte temporale fino al 2050. Il rapporto dell’Onu del 2024 individua varie cause. La struttura finanziaria globale ha ostacolato le riforme nei paesi in via di sviluppo. E poi le varie crisi globali, come le guerre e il Covid. Ma anche le difficoltà causate da una crescente polarizzazione sociale e il ruolo delle lobbies che hanno bloccato la transizione tecnologica sostenibile, mantenendo i sussidi ai combustibili fossili".

Una delle chiavi è la lotta contro il cambiamento climatico. Su questo versante cosa ne pensa?

"L’estensione al 2050 è l’occasione per un nuovo inizio, per ripensare gli obiettivi. In generale, gli obiettivi sono presentati come se fossero universali, come se non ci

fossero differenze storiche, economiche e culturali tra Paesi. Non esiste un unico modello di sviluppo, che spesso viene fatto coincidere con quello occidentale".

Il cambiamento climatico è un tema sentito soprattutto dai giovani o ha realmente un interesse comune?

"Assolutamente sì. Nel corso di laurea dove insegno al Campus di Forlì dell’Ateneo di Bologna abbiamo corsi sul cambiamento climatico. I giovani hanno un profondo interesse sulla sostenibilità ed è più che comprensibile. Il cambiamento in atto sconvolgerà radicalmente le loro vite".

Un altro goal dell’Agenda 2030 è la riduzione delle disuguaglianze. Un tema complesso, soprattutto di questi tempi...

"La disuguaglianza è in crescita da tempo e ovunque. Ridurre drasticamente la disuguaglianza, di reddito e di ricchezza, è di fondamentale importanza per poter sperare di affrontare le trasformazioni necessarie per garantire un futuro sostenibile alle nostre società, trasformazioni che gli scienziati ripetono devono essere ’rapide, profonde e su vasta scala’".

La lettura dell’Agenda 2030 alcuni paesi la vedono come un limite allo sviluppo economico. Come cambiarne l’idea?

"Dei 17 obiettivi, a livello globale, nessuno è stato raggiunto. Solo il 16% è in linea, mentre l’84% è fuori obiettivo o addirittura è peggiorato. Quelli che peggiorano sono, oltre alla libertà di stampa, la riduzione dell’aspettativa di vita alla nascita, il tasso di obesità, le specie in estinzione e l’uso insostenibile di nitrati e fosfati. Quelli che non migliorano sono povertà (dove la soglia è fissata a 3,65$/giorno), partecipazione alle scuole d’infanzia, prelievo idrico, disuguaglianza, sovrasfruttamento della pesca, corruzione, spesa pubblica per istruzione e sanità. A questi dobbiamo aggiungere l’intensità energetica del Pil e la quota di energia proveniente da fonti rinnovabili. Quelli invece migliorati sono l’uso della telefonia mobile, l’accesso a internet, l’accesso all’acqua potabile nei centri urbani e la riduzione della mortalità infantile. Questo fallimento ci interpella: si rende necessario un vero e proprio cambiamento radicale di paradigma. I Paesi in via di sviluppo sono quelli che meno hanno contribuito al cambiamento climatico ma sono anche quelli che maggiormente ne pagano le conseguenze. Forse dovremmo riflettere sulla coerenza tra i vari obiettivi dello sviluppo sostenibile per non rischiare di bloccare l’agenda

dello sviluppo per i prossimi 25 anni intorno ad un modello economico che si è mostrato fallimentare".

Nicholas Masetti