Maxi-risarcimento da mezzo milione per un bancario: quando il demansionamento supera ogni limite

di Domenico Tambasco* Ha destato particolare interesse nell’opinione pubblica la recente pronuncia della Corte d’Appello di Milano (18 febbraio 2025, n. 1059) che, nel confermare la sentenza di primo grado dello stesso Tribunale, ha definito congruo il risarcimento da quasi mezzo milione di euro liquidato a favore di un bancario. Un risarcimento certamente insolito per […] L'articolo Maxi-risarcimento da mezzo milione per un bancario: quando il demansionamento supera ogni limite proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mar 5, 2025 - 18:18
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Maxi-risarcimento da mezzo milione per un bancario: quando il demansionamento supera ogni limite

di Domenico Tambasco*

Ha destato particolare interesse nell’opinione pubblica la recente pronuncia della Corte d’Appello di Milano (18 febbraio 2025, n. 1059) che, nel confermare la sentenza di primo grado dello stesso Tribunale, ha definito congruo il risarcimento da quasi mezzo milione di euro liquidato a favore di un bancario. Un risarcimento certamente insolito per l’ordinamento italiano se si pensa che la stessa Organizzazione Internazionale del Lavoro, in una ricerca condotta pochi anni fa, ha attestato un orientamento verso il basso delle medie risarcitorie in materia di conflittualità lavorativa, ricomprese in una “forbice” oscillante tra 25.244 e 28.240 euro.
Quali sono, dunque, le cause alla base di questa vera e propria condanna-record?

Se leggiamo tra le pieghe della sentenza, possiamo notare come al centro della valutazione dei giudici non ci siano né il mobbing né lo straining, non essendo stato ravvisato alcun intento persecutorio da parte della Banca, seppur in presenza di due licenziamenti illegittimi, di numerosi trasferimenti di sede e di una pluridecennale dequalificazione.

Al contrario, ciò che ha valorizzato la Corte d’Appello è stato l’oggettivo e grave svuotamento della professionalità del dipendente, sostanziatosi in “una grave vicenda di demansionamento che si è protratta per anni”, precisando – poche pagine dopo – che tale demansionamento si era concretizzato nella “totale inattività lavorativa” per un periodo di oltre dodici anni. Ecco i due fattori che hanno principalmente determinato la liquidazione del compendio risarcitorio: la gravità del tipo di dequalificazione subita e la durata della stessa. Il danno biologico, in questo caso, ha recitato una parte secondaria, concernendo “soltanto” il minore importo di circa 74.000,00 euro (comprensivo di spese mediche) rispetto al mezzo milione complessivamente riconosciuto al lavoratore.

Sul primo fattore, la sentenza riprende un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, che ha affermato come il totale svuotamento quantitativo delle mansioni (in cui si sostanzia appunto l’inattività lavorativa) sia la fattispecie più grave di dequalificazione, considerato che il datore di lavoro che lascia il dipendente in condizione di inattività viola non solo l’art. 2103 c.c., ma anche il fondamentale diritto al lavoro, compromettendo la sua personalità, immagine e professionalità. Tale condotta incide sulla dignità del lavoratore, privandolo della possibilità di esprimere le proprie capacità nel contesto lavorativo (cfr. Cass. 28 settembre 2020, n. 20466; Cass. 13 dicembre 2019, n. 32982; Cass. 18 maggio 2012, n. 7963). Conseguentemente, i giudici hanno confermato il parametro base del 30% della retribuzione lorda percepita, determinato in primo grado.

La pronuncia dei giudici mostra però i contenuti più innovativi sulla durata, da cui deriva la “lievitazione” degli importi liquidati; infatti, il risarcimento abbraccia l’intero periodo di inattività, ivi compreso il quinquennio in cui il dipendente, estromesso illegittimamente dall’azienda per ben due volte, era rimasto forzosamente senza lavoro per poi venire successivamente reintegrato (e indennizzato) in sede giudiziale. In questo caso, viene espressamente riconosciuto che il risarcimento dovuto al lavoratore per la reintegra ai sensi dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori non preclude il risarcimento del danno ulteriore da inattività lavorativa, liquidato per la violazione dell’art. 2087 c.c. (norma cardine del sistema di sicurezza e salute sul lavoro), laddove il lavoratore licenziato provi di aver subito effettivamente il danno anche per il periodo anteriore alla riammissione nel posto di lavoro.

D’altro canto, è la stessa Corte di cassazione ad affermare che il risarcimento stabilito dall’art. 18 per il licenziamento illegittimo e quello riconosciuto ai sensi dell’art. 2087 del Codice civile nell’ipotesi, ad esempio, di inattività lavorativa totale, operano su piani risarcitori totalmente distinti (cfr. Cass. 23 ottobre 2023, n. 29335).

Facciamo un passo indietro. Se non è stata accertata in concreto una condotta persecutoria ma, al contempo, si è ravvisata la palese e prolungata violazione della principale norma posta a protezione della salute e della sicurezza sul lavoro, allora non possiamo che trovarci di fronte a un ambiente di lavoro nocivo e stressogeno, fonte di responsabilità per l’“inadempimento datoriale ad obblighi di appropriatezza nella gestione del personale, già rilevante ai sensi dell’art. 2087 c.c.” (cfr. Cass. 7 febbraio 2023, n. 3692; Cass. 28 dicembre 2023, n. 36208; Cass. 7 giugno 2024, n. 15957). Siamo davanti a una evidente riprova della centralità dell’organizzazione dell’impresa (art. 2086 c.c.), le cui disfunzioni costituiscono non solo un’anomalia giuridicamente rilevante, ma determinano anche un grave vulnus all’integrità fisica e alla personalità morale dei dipendenti.

Il significativo danno liquidato dalla sentenza della Corte d’Appello di Milano, allora, più che delineare una prassi consolidata sembra porsi come l’eccezione a un sistema improntato alla “moderazione risarcitoria”. Per rendere questa tendenza strutturale è quindi auspicabile un intervento normativo che, in attuazione della Convenzione ILO n. 190/2019, sancisca la “tolleranza zero” verso ambienti di lavoro tossici e nocivi, contrastando non solo la violenza e le molestie, ma anche condizioni stressogene incompatibili con la dignità e la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori.

*Avvocato giuslavorista, da anni si occupa di conflittualità lavorativa anche come redattore di diversi ddl in materia presentati nella scorsa legislatura

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