Marin, Università di Urbino: "Occhio ai prodotti ingannevoli. I governi aiutino le aziende ’pulite’"
Il docente di Economia applicata ribadisce l’importanza della tutela dei lavoratori anche nei settori emergenti "Rapido e radicale cambiamento tecnologico e strutturale, l’istruzione è sempre più fondamentale".

Professor Giovanni Marin, docente di Economia applicata all’Università di Urbino, il modello dell’Agenda 2030 è ancora fattibile in chiave economica?
"Facciamo un passo indietro: l’Agendo 2030 è davvero fattibile in generale? I ‘goals’ sono degli obiettivi a cui tendere, spesso ambiziosi, spesso anche in contrasto tra loro. Obiettivi il cui raggiungimento richiede, certo, importanti investimenti pubblici e privati, e qui è cruciale un ragionamento sulla fattibilità economica, ma anche azioni a più ampio respiro, inclusi radicali cambiamenti nei comportamenti dei singoli individui".
Tra i 17 obiettivi vediamo come ci sia anche quello del lavoro dignitoso e della crescita economica. Le due cose possono andare di pari passo?
"Nell’ambito dell’Agenda 2030 la crescita economica è considerata uno degli strumenti per consentire il raggiungimento della sostenibilità, perché consente di avere crescenti risorse (non necessariamente materiali) per perseguire obiettivi ambientali e sociali. In un contesto di grande concorrenza tra imprese e tra paesi, spesso il lavoro paga il prezzo in termini di condizioni lavorative non salutari, incerte, poco remunerate. Questo anche perché il lavoro, a differenza di beni, informazioni e capitale non è libero di spostarsi. Nel contesto attuale di rapido e radicale cambiamento tecnologico e strutturale, è di fondamentale importanza il ruolo dell’istruzione".
Con l’Università di Urbino lei ha fatto dei seminari ad hoc sull’Agenda 2030. Come rispondono in merito gli studenti e le studentesse?
"Ho fatto sia seminari più tradizionali, in cui si illustrava il percorso che ha portato all’Agenda 2030, che attività più interattive. Studenti e studentesse hanno dimostrato molto interesse, sia per le implicazioni che le sfide alla sostenibilità hanno per il loro futuro come cittadini, sia per le opportunità che potrebbero materializzarsi nel mondo del lavoro su questi temi. Si rendono conto che hanno bisogno di ‘saperne di più’ e c’è grande necessità di combinare ambiti disciplinari tra loro distanti. Ad esempio, lo scorso anno con una collega chimica e un collega geologo, nell’ambito di un corso del nostro ateneo per le competenze trasversali, abbiamo discusso scenari di trend delle emissioni globali e accesso ai materiali critici per la transizione energetica".
Si rischiano in tema di sostenibilità, soprattutto in chiave economica, fenomeni sempre più maggiori di greenwashing e social washing?
"Il rischio di greenwhasing (e social washing) è concreto. Da un certo punto di vista, è un sintono di quanto la cittadinanza sia sempre più pronta a premiare comportamenti virtuosi da parte delle imprese. Proprio per questo, per evitare che la consapevolezza della cittadinanza verso il rispetto di ambiente e diritti sia tradito da pratiche opportunistiche, sono necessarie regole chiare e azioni efficaci di controllo e punizione di queste pratiche opportunistiche, per dare credibilità alle imprese davvero virtuose. In questo senso, gli interventi dell’Unione europea che vogliono estendere l’obbligo dei bilanci di sostenibilità anche a imprese di media dimensione e la proposta di direttiva sui green claim vanno nella direzione giusta".
Imprese, innovazione e infrastrutture. Altro goal dell’Agenda 2030. Cosa ne pensa?
"La vera sfida forse, in questo ambito, è coniugare la natura pubblica degli investimenti in infrastrutture fisiche e ricerca scientifica con la necessità di coinvolgimento dei privati quali attuatori e finanziatori. Nella situazione attuale e futura non è pensabile che siano solo i governi ad investire per attuare i cambiamenti necessari a raggiungere gli obiettivi economici, sociali e ambientali dell’Agenda 2030. Penso che i governi debbano davvero fare in modo che la sostenibilità sociale e ambientale risulti economicamente conveniente, creando le condizioni sia in termini di ‘punizione’ di attività che contribuiscono ai problemi socio-ambientali (con una revisione della tassazione) sia in termini di ‘premio’ verso attività virtuose (con sussidi)".
Citando l’ex ministro Enrico Giovannini, "per costruire un futuro migliore ci serve un’utopia. Un’utopia sostenibile". È così?
"Ritengo il volume del professor Giovannini intitolato ‘Un’utopia sostenibile’ un ottimo strumento per approcciarsi per la prima volta al tema dell’Agenda 2030. Utopia è qualcosa che non è possibile trovare nella realtà, ma che rappresenta in ogni caso un punto di arrivo. Un’eccessiva attenzione al perseguimento di singoli obiettivi potrebbe portare a delusione e scoramento e, quindi, a un fallimento stesso dell’utopia, che si fonda, come dice Giovannini, sul ‘sogno’".
Nicholas Masetti