L’uso dei dati senza consenso degli utenti online è inquietante: così il web diventa una prigione

L’uso del web a livello mondiale è stimato in 5,24 miliardi di persone, quindi l’identità e il profilo del 64% degli abitanti del globo è verosimilmente “catturato” dagli operatori della Rete, quasi sempre senza un reale consenso delle persone coinvolte. Il processo di datificazione riguarda, secondo l’Istat, “ogni evento, nel mondo fisico o virtuale, che […] L'articolo L’uso dei dati senza consenso degli utenti online è inquietante: così il web diventa una prigione proviene da Il Fatto Quotidiano.

Apr 8, 2025 - 14:00
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L’uso dei dati senza consenso degli utenti online è inquietante: così il web diventa una prigione

L’uso del web a livello mondiale è stimato in 5,24 miliardi di persone, quindi l’identità e il profilo del 64% degli abitanti del globo è verosimilmente “catturato” dagli operatori della Rete, quasi sempre senza un reale consenso delle persone coinvolte. Il processo di datificazione riguarda, secondo l’Istat, “ogni evento, nel mondo fisico o virtuale, che prontamente è trasformato in dato. I dati, a loro volta, sono raccolti, scambiati, registrati, analizzati, trasformati, venduti”. L’Istat ritiene “che molti, se non tutti i dati prodotti nel XXI secolo, siano organici e prodotti dalle attività di persone e macchine connesse attraverso la Internet of Things.

I problemi sorti con la profilazione delle persone effettuate dalle compagnie digitali riguardano la dimensione del fenomeno, le modalità utilizzate per acquisire le informazioni e l’utilizzo che ne viene fatto. Vi sono leggi europee sulla protezione dei dati personali (come il regolamento Gdpr) che cercano di limitare lo strapotere su questo tema delle piattaforme, ma i fenomeni negativi persistono e semmai sono aumentati.

Che uso viene fatto dei dati sulle persone, informazioni “lavorate” nei Data Center, noti, per inciso, anche per il consumo rilevante di energia e di acqua? La finalizzazione è essenzialmente economica.

La prima è commerciale-pubblicitaria. Grazie alla profilazione dei singoli si possono attivare messaggi promozionali personalizzati. Non si tratta di quanto avviene, ad esempio, per la televisione, dove la scelta dell’obiettivo da colpire sono i macro target, come il sesso, l’età, o il livello sociale-economico e d’istruzione. L’”occhio” e l’”orecchio” del web permettono di conoscere i desideri e i bisogni dei singoli e le loro potenzialità di acquisto. Insomma si tratta di una comunicazione che assomiglia più ad un consiglio, quindi maggiormente convincente. La pubblicità classica è percepita come uno stimolo, la promozione personalizzata spinge direttamente all’acquisto.

Il fatto che la pubblicità veicolata dalle piattaforme abbia un valore economico superiore agli altri mezzi, compresa la televisione, indica quanto è apprezzata dagli inserzionisti. I vantaggi del web derivano anche dalle ampie zone d’ombra in cui opera. Preoccupa il fatto che non vi siano regole sull’affollamento, a differenza degli altri mezzi.

Ma l’aspetto più negativo è che si possa creare una commistione fra comunicazione editoriale e comunicazione pubblicitaria, un metodo che inquina l’informazione e i mercati. Aggiungiamo che l’Intelligenza Artificiale renderà più facile veicolare messaggi pubblicitari camuffati da notizie giornalistiche.

Inquietante è l’utilizzo dei dati per finalità politiche ed economiche. Non mi riferisco solo al fatto che i proprietari dei social, che sono degli editori anche se essi sostengono il contrario, permettano che la disinformazione spadroneggi nei loro networks, in nome di una presunta libertà di espressione, ma il fatto che sono diventati soggetti politici, che utilizzano i propri mezzi per fare propaganda a favore dei loro referenti politici.

Le tribune elettorali di Jader Jacobelli appaiono, rivedendole con gli occhi di oggi, “innocue” a differenza di ciò cui abbiamo assistito, riguardo la comunicazione politica, nel lungo periodo del conflitto d’interessi di berlusconiana memoria. Successivamente, nel 2018, con lo scandalo Cambridge Analytica, si è venuti a conoscenza che 87 milioni di account Facebook sono stati usati nel Regno Unito per la propaganda politica a favore della Brexit.

Quanto vediamo oggi è ancor peggio, come se il “male” si alimentasse dal precedente. Assistiamo sui social a massicce campagne politiche “mascherate” fatte per facilitare la vittoria elettorale dei politici di riferimento, ottenendo da questi, una volta al governo, consistenti vantaggi economici, senza il pudore di nascondere i loro conflitti d’interessi. Abbiamo visto la Casa Bianca trasformata in un “autosalone”!

Come fronteggiare questo declino? Intanto, come suggerisce l’Ue, insistendo sulla governance dei dati. Sarebbe interessante sapere se le imprese che operano con i “dati” evidenziano nei bilanci tali attività, come accade per un qualsiasi asset che contribuisce alla realizzazione dei ricavi. Come accade per un software, per un brevetto o per altri beni immateriali. Se così fosse si potrebbe conoscere come vengono reperiti i dati e come e per quali fini vengono utilizzati. Ci sarebbe una maggiore trasparenza, utile anche ai fini fiscali, ed è probabile che i problemi si attenuerebbero.

Il web ha più di trent’anni, all’inizio tutti pensavano che fosse una fantastica “finestra sul mondo”, una tecnologia che permettesse di “unire le persone”; oggi, per responsabilità in particolare dei social, sembra diventata una “prigione”, un’applicazione che divide. È il risultato di una crescita senza regole.

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