L’urlo della bimba "Papà, no"

A 10 anni ha visto uccidere la madre. La piccola è stata affidata a uno zio. .

Mag 6, 2025 - 05:27
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L’urlo della bimba "Papà, no"

di Andrea Gianni e Massimiliano Saggese

MILANO

Khalid Achak si è detto dispiaciuto perché "la vita non si toglie", e le sue risposte alle domande del gip Emanuele Mancini ricalcano frasi già sentite in tanti altri casi di femminicidio: "Abbiamo litigato e ho perso la testa, ho avuto una esplosione di rabbia e l’ho colpita. Ricordo solo la prima coltellata, poi più nulla....". Sono almeno 15 i fendenti con cui il 50enne, originario del Marocco, sabato sera ha massacrato la moglie a Settala, alle porte di Milano, nell’appartamento dove in quel momento si trovava anche la figlia di 10 anni, che ha lanciato l’allarme con il telefonino regalato dalla mamma. Una bambina, ora affidata a uno zio materno, che avrebbe anche cercato di fermare la violenza, urlando: "Papà, no!".

Amina Sailouhi, la vittima 43enne, aveva già denunciato il marito il 26 novembre 2022, due anni e mezzo fa. Era terrorizzata, stanca di subire le sue angherie. Quel giorno, secondo la denuncia presentata ai carabinieri, il marito era tornato a casa accusandola di averlo tradito. L’aveva colpita con un pugno allo zigomo e al naso, provocando lesioni documentate dalle foto agli atti. Anche quella volta la figlia si trovava in casa. La donna si era chiusa nella sua camera, e il marito aveva cercato di sfondare la porta. "Voleva ammazzarmi", ha raccontato Amina. Infine era riuscita a chiamare il 112, erano intervenuti i carabinieri. Nella sua denuncia la donna ha parlato anche di altre aggressioni e minacce precedenti, tanto che il 15 settembre 2022 si era rifugiata per due giorni in un albergo con la figlia. Poi era tornata a casa.

L’uomo, indagato per maltrattamenti in famiglia, è rimasto a piede libero perché la Procura, pur essendo state attivate le procedure del codice rosso, non aveva ritenuto sussistenti esigenze per chiedere una misura cautelare. Non erano arrivate altre segnalazioni e la donna, presa in carico da un centro antiviolenza nel 2022 dopo un passaggio alla clinica pediatrica De Marchi, aveva rifiutato di trasferirsi in una casa protetta. Gli inquirenti stavano per chiudere la indagini preliminari, in vista della richiesta di rinvio a giudizio dell’uomo. Amina non aveva mai ritirato la sua denuncia, viveva nel terrore del marito che, nei suoi deliri amplificati dall’alcol, la accusava anche di tramare con i suoi parenti per spogliarlo dei beni, dopo averla sposata con un "matrimonio combinato".

L’ennesima tragedia che, forse, avrebbe potuto essere evitata. Le senatrici del Pd Valente e Malpezzi presenteranno un’interrogazione parlamentare, perché "saremmo di fronte a una sottovalutazione del rischio che correva Amina". Un’amarezza che emerge anche dalle parole di Concetta Frazzetta, dirigente dell’istituto comprensivo di Settala, dove la bambina frequenta le elementari. "Non eravamo stati informati di nulla – spiega –. Forse, se avessimo saputo, avremmo potuto interpretare meglio lo stato d’animo della piccola, che negli ultimi giorni era triste". Achak nell’interrogatorio, difeso dall’avvocato Giorgio Ballabio, ha negato di aver voluto fare del male alla figlia. E, tra dichiarazioni confuse e "non ricordo", ha ripercorso quella giornata, che la figlia ha trascorso a un compleanno, per poi rincasare all’ora di cena. "Io e mia moglie siamo andati a fare la spesa – ha raccontato l’uomo – ho comprato 6 birre e ne ho bevute 4". Ha parlato di un litigio con la moglie legato a un episodio avvenuto nei giorni scorsi: un banale capriccio della bambina, di cui lui avrebbe preso le difese. Ha accusato la donna di averlo minacciato di "autoinfliggersi ferite" per denunciarlo, mentre la figlia era nella sua cameretta: "Ho perso la testa, ho preso il coltello e l’ho colpita". Il pm Antonio Pansa, che coordina le indagini dei carabinieri, ha chiesto il carcere per una persona "incline alla violenza", che ha commesso un delitto "particolarmente efferato", alla presenza della figlia. Una bambina che, secondo la testimonianza di un vicino, "quasi ogni sabato urlava: basta, basta!".