"Cantiamo Rosa, la voce di tutte". La rivoluzione Balistreri in un film
Dalla Sicilia patriarcale al folk come attivismo, la musicista rivive in “L’amore che ho“ di Paolo Licata

Bertuccioli
Non una cantante ma una cantastorie. O meglio, “un’attivista che fa comizi con la chitarra“, come lei si definiva. Perché Rosa Balistreri con i suoi canti dava voce ai lavoratori sfruttati, a tutta la povera gente e alle donne sistematicamente picchiate, abusate e spesso uccise, in quella Sicilia patriarcale dove era normale sottostare e subire dall’uomo, sia esso padre o marito. E quando Rosa si ribellò e accoltellò quello che era stata costretta a sposare, un ubriacone violento con il vizio del gioco, conobbe anche il carcere. Una vita, quella di Rosa, nata a Licata nel 1927 e morta nel 1990, segnata dalla povertà, da grandi ferite, ma anche da uno straordinario talento che l’ha resa l’emblema stesso della canzone popolare siciliana. Il film di Paolo Licata L’amore che ho, ispirato all’omonimo libro di Luca Torregrossa, nipote dell’artista, figlio della sua unica figlia, Angela, (dall’8 maggio nelle sale) ne ripercorre la vita affidando a quattro attrici diverse il ruolo di Rosa nelle varie età: Donatella Finocchiaro, Lucia Sardo, Anita Pomario e Martina Ziami, chiamate anche a interpretare le sue canzoni. Le musiche originali sono di Carmen Consoli, presente non come cantante ma come attrice in un cameo.
Un’artista straordinaria, Rosa Balistreri, ma oggi forse poco conosciuta e ricordata? "Non so, è un personaggio che porto dentro di me e quindi a me sembra di conoscerla da sempre. Avevo già fatto uno spettacolo su di lei, Rosa, e avevo cantato le sue canzoni", racconta Donatella Finocchiaro, siciliana come Rosa, ma di Catania. "Ma forse il canto popolare è andato un po’ fuori moda e dispiace perché ai suoi tempi Rosa Balistreri – ricorda l’attrice – era considerata la nostra Amália Rodrigues". Osserva Carmen Consoli: "Il fatto è che stiamo assistendo a un impoverimento del linguaggio e quindi il fenomeno della mancanza di contenuto a favore di qualcosa di più facile e commerciale non riguarda solo la musica ma l’arte in generale. Anche il cinema, credo".
Cresciuta nella miseria e nell’ignoranza, aveva imparato a leggere e a scrivere da sola, a comporre canzoni, autodidatta in tutto. "Rosa è una rivoluzionaria, e la sua rivoluzione è la cultura. Lei, nata povera, nel periodo in cui vive a Firenze si circonda di grandi intellettuali come Ignazio Buttitta che le fanno capire che attraverso la cultura c’è evoluzione. Qualcuno diceva “l’uomo tanto sa, tanto può“. Questa è la vera rivoluzione di Rosa. E trovo che Rosa non fa parte del ciclo dei vinti: lei vince", afferma Carmen Consoli, che ricorda sempre l’influenza che ha avuto Rosa Balistreri nella sua vita artistica. E prosegue: "La voce di Rosa era strabiliante ma Rosa non deve essere cantata solo da voci strabilianti. Rosa deve essere cantata da tutte perché era la voce di tutte".
Ricordare questa artista è importante. "Perché Rosa Balistreri – afferma Donatella Finocchiaro - è un esempio da proporre soprattutto alle nuove generazioni, perché è stata una donna capace di ribellarsi ai cliché della sua epoca". Le canzoni di Rosa Balistreri, che aveva poi fatto anche teatro con Dario Fo in Ci ragiono e canto, e aveva detto “no“ a Francis Ford Coppola "perché lui voleva una siciliana finta, folcloristica, un pagliaccio", non hanno perso nulla della loro carica di denuncia. "Sono canzoni attualissime perché il suo ero un canto politico", sottolinea Donatella Finocchiaro. Perché Rosa imbracciava la chitarra e gridava il dolore delle donne e di tutte le persone oppresse.