Licenziato per errori commessi anni prima? La Cassazione dice sì
Anche fatti gravi commessi anni prima possono portare al licenziamento: lo chiarisce la Cassazione con la sentenza 4227/2025. Scopri cosa cambia per tutti i dipendenti

Il rapporto di lavoro, e ancor prima il contratto firmato dalle parti, si basa sull’elemento della fiducia. Se un datore ritiene di non potersi fidare di qualcuno, non stipulerà mai un accordo scritto perché ragionevolmente temerà la violazione delle regole di correttezza, lealtà, buona fede e diligenza nell’esecuzione delle mansioni.
Ed è vero che la fiducia, inizialmente presente, può venire a mancare in un secondo tempo a seguito di comportamenti del dipendente incompatibili con la continuazione del rapporto. Si pensi ad es. a gesti di mobbing, a furti commessi in ufficio oppure alla violazione delle regole della legge 104. Non solo. Come recentemente chiarito dalla Sezione Lavoro della Cassazione, a rischiare il posto è anche il dipendente che, prima dell’inizio del rapporto, ha tenuto un comportamento incompatibile con le sue mansioni – ma è stato scoperto dopo.
Vediamo insieme la sentenza 4227/2025 e chiariamo a cosa occorre fare attenzione per evitare brutte sorprese dopo aver firmato il contratto.
La violazione contestata e il licenziamento per giusta causa
Il caso finito in tribunale riguardava il licenziamento per giusta causa inflitto a un portalettere, colpevole di mancata evasione, sottrazione, occultamento e parziale manomissione di corrispondenza a lui affidata nell’esercizio delle mansioni. Nel 2006 una società del settore postale aveva assunto l’uomo come postino, ma anni dopo era stato “beccato” in possesso di materiale mai recapitato.
A fare luce sulle violazioni sono state le forze dell’ordine che, nell’ambito di una perquisizione condotta dalle forze dell’ordine in casa del dipendente, trovarono al suo interno quasi ottomila plichi postali, comprendenti anche documenti molto delicati come gli atti giudiziari. Di fatto, con questa violazione degli obblighi contrattuali e delle regole civilistiche di diligenza e buona fede, i destinatari erano stati privati del servizio di consegna della corrispondenza.
La particolarità della condotta contestata era che la violazione risaliva a un precedente rapporto in essere tra lo stesso dipendente e la stessa azienda. Ma il licenziamento, inflitto al termine del procedimento disciplinare e in applicazione delle norme del Ccnl di riferimento, si è avuto durante un secondo e nuovo rapporto di lavoro, creatosi per quella che in gergo è chiamata conciliazione novativa. Una vicenda senza dubbio originale e che ha portato a conclusioni dei giudici, applicabili a tutti i rapporti di lavoro subordinato.
Le difese del dipendente in tribunale e gli esiti dei primi due gradi
L’uomo rifiutò di essere cacciato e contestò così il licenziamento in tribunale. Fondò le sue difese, oltre che su uno stato di forte stress all’epoca dei fatti, proprio sul fatto che la violazione contestata si riferiva a un anteriore rapporto di lavoro ormai terminato e sul dato per cui, anni dopo, tra le stesse parti era sorto un nuovo e distinto rapporto.
In primo grado, il giudice del lavoro accolse il ricorso dell’ex dipendente, disponendo il suo ritorno in ufficio. Seguì il ricorso in appello della società, che ribaltò le sorti grazie a una seconda sentenza favorevole.
Il ruolo del dolo e l’irrilevanza delle difese del dipendente: la Cassazione
L’uomo non si diede per vinto, ma la Suprema Corte ribadì la correttezza del licenziamento in tronco, respingendo il successivo ricorso del portalettere. Per la Cassazione a nulla sono valse le difese dell’uomo perché la giusta causa del recesso, di cui all’art. 2119 Codice Civile, può o deve essere accertata al di là della data in cui i fatti – idonei a danneggiare il rapporto di fiducia – erano avvenuti. Non ha cioè importanza che i fatti si riferissero a un precedente rapporto di lavoro, e che siano stati scoperti soltanto successivamente e a distanza di anni.
Determinante è invece la gravità e la dolosità del comportamento e proprio per questo, richiamando il principio di diritto già contenuto nella sua sentenza 428/2019, la Corte ha ricordato che il vincolo fiduciario è leso anche quando il comportamento é:
estraneo al rapporto lavorativo in atto, benché non attinente alla vita privata del lavoratore e non necessariamente successiva all’instaurazione del rapporto, a condizione che, in tale secondo caso, si tratti di comportamenti appresi dal datore dopo la conclusione del contratto e non compatibili con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate e dal ruolo rivestito dal dipendente nell’organizzazione aziendale.
Al contempo la Cassazione respinse le giustificazioni dell’uomo legate ad una situazione di presunto stress psicologico, all’epoca delle violazioni contrattuali. La Corte ha spiegato, infatti, che queste difficoltà personali non potevano “giustificare” i gravi atti e disservizi nei confronti dei cittadini. Nella sentenza, infatti, i giudici hanno sottolineato che – in situazioni di disagio – sarebbe stato ben possibile ricorrere agli strumenti di sostegno previsti dalla legge, come la richiesta di permessi o di assenze per malattia.
Che cosa cambia
Con la pronuncia 4227/2025 la Suprema Corte ha stabilito che, in materia di licenziamento per giusta causa, la fiducia può essere danneggiata in modo irreparabile anche da una condotta totalmente slegata dall’attuale rapporto di lavoro. E il licenziamento è valido anche se disposto dalla stessa società che era stata danneggiata dalle violazioni commesse nel precedente rapporto, scoperte però soltanto dopo e durante la seconda esperienza lavorativa con lo stesso dipendente.
Si ricava perciò il più generale principio giurisprudenziale per cui la giusta causa di licenziamento può fondarsi anche su fatti anteriori, non avendo importanza la data di scoperta delle violazioni. Il recesso sarà quindi legittimo a condizione che la scoperta successiva dei fatti, anche dopo la firma del contratto, influisca negativamente sulla valutazione dell’affidabilità del lavoratore rispetto alle mansioni attribuite e dal ruolo rivestito all’interno dell’organizzazione aziendale.