L’emergenza?. Chi è povero anche se lavora
Marmo La grande questione salariale è innanzitutto la questione del lavoro "povero", che è la drammatica condizione in cui vive chi,...

Marmo
La grande questione salariale è innanzitutto la questione del lavoro "povero", che è la drammatica condizione in cui vive chi, pur avendo un’occupazione, si trova a percepire retribuzioni talmente basse da rientrare in quell’area di disagio economico e sociale che gli esperti chiamano "povertà relativa". È la "grande" questione perché non solo fa riferimento alla platea di persone e famiglie più "sofferenti" e a rischio di scivolare rapidamente nel buco nero della povertà "assoluta", ma perché nell’ultimo decennio, come ci ricorda una recente indagine delle Acli su dati Istat, i working poor, i lavoratori poveri, sono aumentati del 55%, fino a raggiungere gli oltre 8,5 milioni.
È innanzitutto questo dramma sociale che bisogna affrontare quando si parla di emergenza salariale. La sinistra, le opposizioni e la Cgil propongono il salario minimo come soluzione. Ma, a ben vedere, ci troviamo ancora una volta di fronte a una bandiera ideologica di facile sventolio mediatico, ma di scarsa efficacia e con notevoli controindicazioni. E, del resto, non è un caso che il Pci non si è mai inoltrato su questa strada. E, sempre non a caso, tutto il sindacato italiano (a cominciare dalla Cgil solo fino a qualche anno fa) non ha mai voluto perseguire questo obiettivo. Il salario minimo ha più di un effetto boomerang: svilisce la contrattazione collettiva, appiattendo le retribuzioni sulla soglia minima, ridimensiona il ruolo e la funzione delle parti sociali nella complessiva azione di tutela dei lavoratori.
Ben diverso sarebbe l’impatto sulle buste paga dei lavoratori "poveri" di un sostegno legale robusto ai contratti collettivi firmati dai soli sindacati più rappresentativi in chiave anti contratti "pirata", in modo da rendere illegale retribuzioni concordate da sigle poco rappresentative. Con il corollario di una drastica detassazione dei bassi salari e di un azzeramento o quasi delle imposte su straordinari e lavoro supplementare, festivo, disagiato, notturno e così via. Il risultato non sarebbe da bandiera mediatica, ma farebbe certamente crescere i redditi di chi ha più bisogno.