La vita va vissuta come un gioco di squadra

IN QUESTA RUBRICA alcuni mesi fa ho pubblicato un contributo sulla cura e il patient engagement. Ora vorrei raccogliere una testimonianza intensa e vitale di una giovane donna affetta da un tumore cerebrale molto grave e del suo nucleo di care givers, col quale ha costruito un percorso straordinario e consapevole di sostegno corale ad […] L'articolo La vita va vissuta come un gioco di squadra proviene da Economy Magazine.

Mar 21, 2025 - 04:31
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La vita va vissuta come un gioco di squadra

IN QUESTA RUBRICA alcuni mesi fa ho pubblicato un contributo sulla cura e il patient engagement. Ora vorrei raccogliere una testimonianza intensa e vitale di una giovane donna affetta da un tumore cerebrale molto grave e del suo nucleo di care givers, col quale ha costruito un percorso straordinario e consapevole di sostegno corale ad un accompagnamento verso la guarigione. Laura è un medico e una docente universitaria che oltre che a se stessa pensa attivamente e con determinazione anche agli altri pazienti, predisponendo strategie di medicina complementare accessibili a tutti e in grado di animare positivamente e costruttivamente i suoi numerosissimi followers!! Non credo esista esempio più concreto e stimolante delle esperienze e delle motivazioni, della spinta inarrestabile di energia e di impegno consapevole  che ci trasmette! è un “impegno” che coinvolge tutti noi!

Mi chiamo Laura Dallolio, sono una docente universitaria in medicina preventiva e da due anni so di essere affetta da un tumore cerebrale, un glioma di alto grado del tronco encefalico, non operabile. Un mese prima della mia diagnosi, a mia madre è stata diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica che nel gennaio 2025 ha determinato la sua scomparsa.

Questa doppia avversità ha trasformato la mia vita e quella della mia famiglia, non necessariamente  in peggio, perché le malattie quando sono condivise in famiglia e con le persone amiche, permettono di scoprire nuovi modi di pensare e quindi di vivere.   

Il nostro modo di reagire alla doppia diagnosi ha infatti provocato una grande mobilitazione della rete famigliare (fratelli, sorelle, zii e zie e cugine/i) e della rete sociale (amiche e amici, colleghe/i universitari, studentesse e studenti) che ha fatto scoprire altre dimensioni della vita quotidiana.

Dopo la diagnosi della mia malattia sono arrivata a conclusioni che ho racchiuso in due frasi e che più passa il tempo e più considero vere: “non corro più, mi accorgo di vivere” (ovvero ogni giorno è e deve essere speciale) e “accettare di risalire, il resto diventa un gioco di squadra”. Nel mio caso accettare la malattia, i cambiamenti fisici e sociali che causa, mostrarsi per quello che si è nella propria situazione di fragilità, significa vivere la vita come un ‘gioco di squadra’ con le persone alle quali si vuole bene e dalle quali si è amati.

Queste due frasi le ho fatte ricamare su magliette che poi ho regalato in segno di riconoscenza ai miei famigliari e amici. In realtà una riconoscenza reciproca: loro mi dicono che sono speciale (anche se in verità il mio modo di reagire a questa diagnosi è abbastanza comune come ci insegnano diverse esperienze del mondo dello spettacolo, della cultura e dello sport) e io dico la stessa cosa a loro! Mi stupiscono sempre di più! Ad esempio l’idea delle magliette e delle frasi ricamate è talmente piaciuta che alcuni tra i miei amici più cari di San Piero in Bagno (FC) hanno deciso di avviare e sostenere una raccolta fondi sulla loro vendita, il cui devoluto è stato poi donato alla Fondazione che mi assiste gratuitamente a casa (Fondazione ANT-Franco Pannuti).

All’inizio la mia malattia ha provocato un grande smarrimento soprattutto nella mia rete famigliare di caregivers piuttosto che in me. Smarrimento che si è trasformato in breve tempo in una reazione non angosciosa ma concreta. La creazione di magliette con la finalità di raccogliere fondi  sta dando vita a ulteriori progetti.

Per quanto riguarda la mia rete professionale rappresentata dal mondo universitario,  la malattia sta portando a nuovi temi da sviluppare in tesi e a nuove ipotesi di ricerca.

Le più recenti riguardano: 1) la sperimentazione di un’applicazione di intelligenza artificiale mirata a migliorare la mia mobilità, abbassare la glicemia e ridurre le probabilità di recidive; 2) la divulgazione tramite video-intervista attraverso Alma Salute dell’Università di Bologna dove viene illustrata la mia attività di ricerca (link al video “Pause Attive Parliamo Prof.ssa Laura Dallolio” https://www.youtube.com/watch?v=BLRLDsuj33M).

La nostra esperienza di condivisione della malattia inoltre ci ha fatto pensare a due obiettivi da raggiungere in collaborazione con le strutture pubbliche e sanitarie:

1) i caregivers famigliari dovrebbero essere supportati parimenti ai pazienti nel processo di diagnosi e cura della malattia, attraverso il riconoscimento del loro status, prevedendo un supporto psicologico e un coinvolgimento attraverso una comunicazione efficace inoltre dovrebbero essere inclusi nei tavoli tecnici dei diversi Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (Pdta);

2) il caregiver famigliare principale dovrebbe essere coinvolto in aggiornamenti periodici per affrontare temi di vita domestica ed essere informato tramite brochure delle tante iniziative disponibili sul territorio.

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