La strategia di Meloni. Task force per le imprese. Ma Bankitalia taglia il Pil

Lunedì la premier riunirà un gabinetto di crisi con i vice e i ministri interessati "Affrontabile". Palazzo Koch lima le stime di crescita, ma Fitch conferma il rating.

Apr 5, 2025 - 07:03
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La strategia di Meloni. Task force per le imprese. Ma Bankitalia taglia il Pil

La Giorgia Meloni che si rivolge ai ministri durante la riunione a Palazzo Chigi nel tardo pomeriggio sulla crisi dei dazi non parla una lingua molto diversa dalla premier che nelle ore precedenti si era rivolta per due volte al grande pubblico. In sintesi: "La situazione è preoccupante ma il panico e la diffusione della sfiducia tra i consumatori, possono causare danni ben maggiori dei dazi, portando a una contrazione dei consumi e degli investimenti delle imprese". Dunque, la priorità assoluta è evitare ogni allarmismo. Non che sia facile con il tonfo di ieri della Borsa: e pensare che alla vigilia dai palazzi del governo speravano nel rimbalzo. Per fortuna nel weekend i mercati chiudono per due giorni, e l’auspicio corale è che basti ad allentare un po’ la tensione, anche se il primo impatto è già stato certificato da Bankitalia: ha abbassato le stime di crescita dallo 0.8% previsto a dicembre per il 2025 allo 0.6%. Ma allo stesso tempo Fitch conferma il rating dell’Italia a ‘BBB’ con outlook positivo.

Per il resto non è che Meloni possa dire molto: l’Italia può fare, almeno, per ora ben poco. Convoca per lunedì la task force formata dopo la bomba fatta esplodere nel Giardino delle rose alla Casa Bianca: i due vicepremier più i ministri interessati. "Ciascuno per la sua competenza dovrà portare uno studio sull’impatto che questa situazione può avere per la nostra economia", avverte. Il giorno dopo incontrerà i rappresentanti delle categorie produttive "per trovare le soluzioni migliori" assieme. Tra le ipotesi per supportare le aziende, il disaccoppiamento del prezzo dell’energia elettrica rinnovabile da quello del gas, lo spostamento di risorse dal Piano Transizione 5.0 ai contratti di sviluppo, ossia gli incentivi agli investimenti che possono agire come fattore anti-delocalizzazione. E a Chigi non si esclude di finanziare il decreto sostegni chiedendo all’Europa di emettere eurobond. Tutto è in ballo. L’unica certezza è che ogni trattativa bilaterale è drasticamente esclusa. Di fronte alla domanda se intende sfilarsi dalla negoziazione europea, la premier sbotta: "Ma quali sfilarsi?". Conferma il ministro degli Esteri, Antonio Tajani: "È competenza del commissario europeo, Maros Sefcovic. Mentre lui tratta, io vado in India e in Giappone". Questa è una delle poche cose che l’Italia può fare da subito: cercare nuovi mercati per allentare la morsa. L’incognita resta la reazione europea: lunedì a Lussemburgo si riuniranno i ministri dei 27 con la delega del Commercio, per scongelare la lista dei prodotti americani che potrebbero essere soggetti a barriere commerciali. La missione italiana è evitare che nel ventaglio figurino voci che provocherebbero reazioni troppo dolorose. Come colpire il bourbon che porterebbe dietro la mazzata sul vino italiano o i motocicli. Per il resto, il governo insiste per evitare la guerra totale: "Le prove muscolari non servono, provocano un danno a tutti", sottolinea Tajani. A trattare è l’Europa ma Meloni farà il possibile per dialogare con entrambe le parti, Ue ed Usa, e provare a ribaltare completamente il quadro. Zero dazi da una parte e dall’altra, di fatto la creazione di un mercato unico occidentale. Vietnam sì, Cina no. In questa cornice si colloca la telefonata con il premier britannico, Keir Starmer con cui concorda di procedere "coordinati sulle sfide globali".

Per sostenere le attività produttive più colpite e forse anche i consumi, la premier insiste sulla necessità di aprire contemporaneamente un fronte europeo. "Penso alla revisione delle regole del Green Deal, al rafforzamento della competitività, alla semplificazione delle regole burocratiche, all’accelerazione del mercato unico". Insomma, tutti quelli che lei definisce dazi interni. Più uno, il più importante anche se di fronte ai ministri preferisce non nominarlo: quel Patto di Stabilità che deve essere revisionato subito. Ora o mai più.